D: A suo parere, quali sono le caratteristiche distintive del private equity, sia come azienda che come investimento?
R: Esistono molte ragioni per cui un'azienda potrebbe decidere di rimanere privata: mantenere la conduzione a livello familiare non essere soggetta agli oneri amministrativi derivanti dalla quotazione pubblica o all'ottica di breve termine imposta dalla rendicontazione trimestrale. Inoltre, generalmente, queste aziende si trovano in una fase diversa del ciclo di vita (spesso iniziale) rispetto alle aziende già quotate in borsa. In alcuni casi hanno appena trovato una loro nicchia all'interno del mercato e stanno iniziando a crescere. Si tratta di una fase estremamente stimolante per alcune di queste aziende e, spesso, qui si genera gran parte dei loro rendimenti. Per chi investe, quindi, è particolarmente interessante poter accedere a un investimento in questa fase.
D: Per un investitore nel private equity fa qualche differenza risiedere in Europa?
R: L'Europa vanta una lunga tradizione di aziende non quotate, molte delle quali con decenni di storia alle spalle e ancora controllate dalla famiglia che le ha fondate. Queste aziende sono estremamente specializzate nel loro campo e sono numerose: in Europa esistono 23 milioni di piccole e medie imprese (PMI), che danno lavoro ai due terzi della manodopera della regione. Tuttavia, notiamo sempre più spesso che le generazioni più giovani sono meno coinvolte nella gestione aziendale o addirittura che vi si sono insediati per la prima volta dei manager professionisti sperando di poterle espandere o di farle crescere.
Il private equity può essere uno dei modi in cui è possibile fare ciò senza che la famiglia debba rinunciare al controllo: le aziende possono infatti accedere a finanziamenti attraverso i mercati privati, restando in grado di conservare il loro stile di gestione e la loro visione di lungo termine rispetto alla direzione intrapresa e alle modalità adottate per la loro crescita. In questo modo non sono costrette a quotarsi su di un mercato regolamentato, ma possono ricorrere al capitale di private equity, che ha un approccio simile a quello degli investimenti a lungo termine. Anche il private debt ha qui un ruolo importante: storicamente, queste aziende hanno dipeso molto di più dai prestiti bancari, che però sono spesso meno flessibili se paragonati ai contratti stipulabili con i finanziatori privati. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questi si sono concentrati sulle aziende più grandi e, quindi, per i nuovi partecipanti focalizzati sulle PMI si spalancano ampie opportunità.
D: In ultima analisi, cosa rende speciali gli asset non quotati? Forse il fatto che sono illiquidi e gli investitori si aspettano un sovrapprezzo per aver detenuto asset illiquidi?
R: Di per sé, il "premio" per l'illiquidità non porta extra rendimenti. Ciò che conta è quello che si fa con questa mancanza di liquidità. Le società non quotate, ad esempio, sono in grado di fissare obiettivi a più lungo termine, su cui il management può impegnarsi a fondo senza doversi concentrare su quello che il mercato pretende dalle trimestrali. Secondo noi, l'illiquidità in sé non genera alcun rendimento: questo proviene dalla creazione di valore che essa consente.
Inoltre è importante che gli investitori comprendano bene quanta illiquidità sono in grado di gestire nei propri portafogli. Devono capire la dimensione della leva finanziaria impiegata nel private equity e avere una visione molto chiara di quale creazione di valore si proponevano nell'accedere al private equity, soprattutto ora che i tassi d'interesse sono aumentati.
D: L'aumento dei tassi d'interesse ha cambiato il panorama del private equity?
R: Questa è una domanda importante, perché l'effervescenza dei mercati vista alla fine dell'ultimo ciclo (particolarmente nei mercati in crescita) ha causato anche un ampliamento abbastanza significativo dei multipli price-to-earnings nel private equity.
In molti casi abbiamo visto creare valore attraverso un'ottimizzazione dei bilanci, avvenuta in molti casi ricorrendo al debito, più conveniente, invece che alle azioni, più care. Ora è importante capire come finanziare al meglio le aziende in un mondo, come quello attuale, in cui i tassi d'interesse sono più alti. Pensiamo che i multipli degli utili possano ancora aumentare, ma con logiche diverse: una di queste è la capacità di formare conglomerati di società che si adattano così bene tra loro da valere di più della somma delle loro parti. Sarebbe un'evoluzione stimolante; secondo noi, il prossimo ciclo per il mercato del private equity chiederà di scovare aziende che possano essere raggruppate, creando alla fine una nuova società molto più interessante. A nostro parere, la creazione di valore dovrà risultare in misura maggiore dall'ottimizzazione delle attività di un'azienda (ad esempio attraverso un'espansione geografica o integrazioni della catena del valore) piuttosto che attraverso la strutturazione finanziaria.
D: Cosa significa l'aumento dei tassi d'interesse per il debito privato?
R: Si tratta certamente di un contesto difficile. E considerati i rischi di volatilità è sensato concentrarsi sui settori difensivi: sanità, istruzione, servizi aziendali e software. Per loro stessa natura sono in grado di generare liquidità e hanno una bassa correlazione con il mercato in generale. In questo modo è più semplice generare profitti anche in periodi di incertezza. Il rialzo dei tassi, inoltre, rende ancora più importante strutturare i contratti con accordi adeguati, in particolare per quel che riguarda la copertura degli interessi e la leva finanziaria massima, nonché verificare con regolarità tutti questi parametri.
Fonte: Pictet Asset Management.
D: L'aumento dei tassi di interesse si è chiaramente rivelato un rischio enorme per i mercati; ritiene che ci siano dei rischi specifici per il mercato dei private asset?
R: La due diligence è fondamentale in questo ambito. Sappiamo che, a prima vista, queste aziende appaiono un po' meno trasparenti rispetto a quelle dei mercati quotati. Gli investitori nel private equity devono quindi comprendere come vengono condotte le procedure di due diligence e la filosofia alla base di ogni operazione di private equity. Allo stesso tempo, i team di private equity devono essere in grado di trovare opportunità in un panorama altamente concorrenziale.
La diversificazione delle annate (vale a dire, detenere partecipazioni in svariate società di private equity con scadenze scaglionate) è quindi di estrema importanza, poiché sappiamo che se investiamo, lo facciamo per un lungo periodo di tempo; siamo quindi in grado di decidere quando iniziare a investire, ma una volta iniziato, non possiamo fare altro che affrontare il contesto economico. Per questo motivo, nella gestione del rischio è molto importante capire il ragionamento alla base degli investimenti fatti nei diversi contesti economici.
Altrettanto importanti sono poi i disinvestimenti. Se le condizioni per un'offerta pubblica iniziale (IPO) sono promettenti, si presenta l'opportunità di trasformare un'azienda da non quotata in quotata. In alcuni mercati, però, questo è più complicato. In tali circostanze diventa indispensabile disporre di competenze nelle vendite, come ad esempio nel caso della vendita di una società ad altre facenti parte della sua catena del valore, dando così vita a fusioni e acquisizioni che formano conglomerati il cui valore è superiore alla somma delle loro parti.
D: Quali implicazioni ha questo tipo di concentrazione sul rapporto tra gli investitori in asset non quotati e gli asset da loro detenuti?
R: In tutti i mercati privati, gli investitori e i gestori sono molto vicini alle aziende in cui investono e hanno un approccio estremamente attivo.
Il rapporto con i consigli di amministrazione è molto stretto. Spesso siedono in questi consigli e possono contribuire a far crescere le aziende nel tempo contando non solo sui capitali messi a disposizione per finanziare la crescita, ma anche sulle proprie competenze, know-how e capacità operative.
E questo non solo nel private equity, ma anche nel comparto privato del settore creditizio (private debt) e immobiliare (private real estate).
Ad esempio, nel private debt, gli investitori possono inserire requisiti o obiettivi specifici nei contratti stipulati con i debitori, ovvero possono dettare i termini e le condizioni del prestito.
Ciò può riguardare i punti chiave della performance aziendale, ma anche aspetti più ampi: si pensi alla sostenibilità di un'azienda in termini di impatto ambientale e gli obiettivi a questo legati. Prendiamo ad esempio un'azienda che punti a ridurre la propria impronta di carbonio nel tempo: il contratto potrebbe essere stipulato in modo tale che la cedola relativa al prestito concesso si riduca una volta raggiunto l'obiettivo. I costi di finanziamento dell'azienda diminuiscono, ma anche l'investitore ne beneficia perché il raggiungimento degli obiettivi rende più sicura la società e ne migliora il rating creditizio. In questo caso ne guadagnano tutti. In un certo senso, i mercati degli asset non quotati offrono un ruolo molto più attivo agli investitori.
In molti casi, il rapporto tra i gestori di fondi di private equity/private debt e le società in cui investono si evolve in una forte simbiosi. Questo è l'investimento attivo nel senso più fedele del termine.
D: In quanto asset manager, è importante per Lei che anche l'azienda per cui lavora sia una società non quotata?
R: Certo. Penso che in Pictet abbiamo una comprensione unica dei punti di forza offerti da una struttura privata: la capacità di pensare a lungo termine, la possibilità di avere posizioni a volte contrarie e il poter riflettere su ciò che conta davvero quando parliamo di crescita. Bisogna concentrarsi sempre sulla qualità della crescita, non solo sulla misura o il ritmo. E noi lo sappiamo.
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