Forse gli investitori hanno vissuto 12 mesi turbolenti, ma è ottobre il mese che rimarrà impresso nella memoria collettiva.
Non perché ha segnato l’inizio di una nuova fase di mercato ribassista, per quanto dolorosa, ma perché ha gettato una luce chiara su una preoccupazione decisamente più importante per il capitalismo, il degrado ambientale.
Sebbene la coreografia sia stata più immaginata che reale, era giusto che il Comitato per l’assegnazione del Nobel annunciasse i vincitori del premio per l’Economia a poche ore dalla pubblicazione del triste rapporto dell’ONU sul riscaldamento globale l’8 ottobre.
I vincitori Paul Romer e William Nordhaus, rispettivamente, hanno dedicato la loro carriera alla comprensione del motivo per cui l'economia cresce e se è possibile che continui in questo modo senza causare danni irreparabili al pianeta, problemi che sono al centro del tema della sostenibilità.
Insieme, la giuria del Nobel e il gruppo di studio sul cambiamento climatico dell’ONU hanno lanciato un chiaro messaggio agli investitori. Senza l’impegno della comunità degli investitori per questa causa, la battaglia per proteggere le risorse naturali del mondo sarà persa.
Gli investitori contano perché hanno il potere di negare o ritirare il capitale dalle aziende che non riescono ad assumersi seriamente le responsabilità ambientali.
Richiedere a ogni società quotata di rispondere per la sua impronta ecologica allo stesso modo in cui risponde, ad esempio, per la svalutazione dei suoi impianti e macchinari, sarebbe un modo per attivare tale leva.
Senza l’impegno della comunità degli investitori per questa causa, la battaglia per proteggere le risorse naturali del mondo sarà persa.
Ma si possono fare anche altre moltissime cose. L’innovativo modello di Nordhaus, che stabilisce una connessione tra crescita, emissioni di gas serra e cambiamento climatico, è stato determinante soprattutto in quanto definisce i costi ambientali dell’attività economica.
Per lungo tempo questo processo ha modellato il pensiero dei governi e dei legislatori in tutto il mondo ed è stato utile allo sviluppo di strumenti per contrastare il cambiamento climatico, come ad esempio i crediti di carbonio.
È tempo che gli investitori diano ascolto ai responsabili della politica. Almeno, dovrebbero riconoscere che ogni azione, obbligazione e attivo patrimoniale comporta un premio per il rischio ambientale che deve essere riflesso nel suo prezzo. Tenere in considerazione questo premio rivelerebbe il vero costo del capitale e in ultima analisi allontanerebbe gli investimenti dalle società che non si interessano della loro impronta ecologica.
La questione non è solo di carattere etico. Un numero sempre crescente di ricerche ha reso la questione anche di carattere finanziario. Le società che applicano attivamente i principi di sostenibilità tendono ad avere un rating di credito superiore, un minor costo del capitale, finanze più solide e una miglior performance del titolo in borsa nel lungo termine rispetto a quelle indifferenti a tali principi.
Ma il capitalismo responsabile va oltre il premiare semplicemente le aziende con modelli di business solidi dal punto di vista ecologico.
Come il Presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson affermò in un discorso davanti al Congresso nel 1965, la tutela delle risorse del pianeta richiede “non solo la classica conservazione della protezione e dello sviluppo, ma una conservazione creativa del risanamento e dell’innovazione.”
Gli esseri umani hanno risorse creative infinite e possono trovare la soluzione al cambiamento climatico e alle altre questioni ambientali che affliggono il pianeta. Hanno solo bisogno delle risorse per poterlo fare.
Alcuni lavori di ricerca adeguatamente finanziati hanno già portato i loro frutti. Nell'ambito dell’energia pulita, dove l’innovazione è fiorita, i passi avanti della tecnologia hanno condotto ad un brusco crollo del costo dell’energia solare, eolica e della capacità di stoccaggio delle batterie. Uno studio indica che per ogni dollaro investito in tecnologia per combattere l’inquinamento dell’aria a partire dagli anni Settanta, l'economia ne ha guadagnati circa 30.
Tuttavia, non è il momento per riposare sugli allori. La ricerca di Romer dedicata agli effetti economici del cambiamento tecnologico suggerisce che gli investitori spesso non riescono a premiare in modo adeguato gli innovatori, privandoli del capitale necessario per finanziare completamente la ricerca e lo sviluppo. Ciò, a sua volta, significa che la società beneficia solo in piccola parte dell’ingegno collettivo dell’umanità.
In parte ciò è dovuto a un atteggiamento miope. Troppo spesso, tecnologie promettenti sono accantonate perché gli investitori si tirano indietro nel momento in cui i rendimenti dovrebbero materializzarsi.
Il lavoro di Romer evidenzia che affinché una importante innovazione come la tecnologia ambientale si affermi e si diffonda nel mondo, gli investitori dovrebbero allungare i loro orizzonti temporali. Solo allora il capitale potrà arrivare dove è più necessario. Secondo una stima, circa 2500 miliardi di dollari di investimenti privati dovrebbero essere indirizzati verso tecnologia verde ogni anno nei prossimi due decenni.
Dato incoraggiante, il settore dei prodotti e servizi ambientali è già saldamente in ascesa. È valutato attualmente circa 2000 miliardi di dollari e cresce a un ritmo annuo del 6-7%, il doppio del tasso di espansione dell'economia mondiale. Il numero di brevetti presentati per le tecnologie ambientali è più che triplicato nell’ultimo decennio fino a circa 20.000 l’anno, secondo i dati della World Intellectual Property Organisation.
Con finanziamenti più generosi nessuno sa cosa potrebbero realizzare le società che sviluppano queste tecnologie. Gli investitori, quindi, svolgono un ruolo centrale nel guidare l’economia verso una situazione più sostenibile. Non solo possono drammaticamente ridurre l’impronta ambientale delle aziende, ma possono anche contribuire a finanziare le tecnologie in grado di proteggere le risorse della Terra per le generazioni future.
Come sottolinea lo stesso comitato per il Nobel, la natura detta le condizioni in cui viviamo, mentre la conoscenza definisce la nostra capacità di gestire tali condizioni.
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