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La teoria della moneta moderna (Modern Monetary Theory, MMT), in sintesi, si basa sull’idea che esista una relazione tra l’inflazione e le scelte di politica fiscale del governo. La domanda aggregata, in quest’ottica, può essere fortemente influenzata dalle scelte del governo in termini di spesa pubblica e tassazione. Osservando che oggi l’inflazione appare stabilmente bassa, i sostenitori invitano quindi i governi a disegnare politiche fiscali espansive, finanziate dalla creazione di moneta. Ma perché leva fiscale e leva monetaria siano perfettamente coordinate, occorre che il governo le controlli completamente, quindi la banca centrale non può essere indipendente ma legata alla politica. In pratica, è lo Stato che crea moneta e di conseguenza il denaro circolante è emesso direttamente dal governo, che non ha bisogno delle tasse dei cittadini per avere valuta corrente. La tassazione servirebbe, in quest’ottica, soltanto ad attenuare una eventuale inflazione.
I critici della teoria della moneta moderna, oltre a far notare che tali idee sono apparse sin dagli anni Trenta del Novecento con John Maynard Keynes, sostengono che nell’impianto manchino alcuni pezzi. Il primo è che secondo la MMT il governo si comporta come se fosse composto da politici illuminati che hanno come unico obiettivo quello di massimizzare il benessere dei cittadini. Un assunto smentito dalle teorie economiche, che hanno mostrato come il governo sia fatto da politici, con le loro ideologie, interessi e scadenze elettorali. Il disegno della creazione di moneta e delle politiche fiscali segue quindi traiettorie diverse. In particolare, i politici potrebbero tendere ad abusare della creazione di moneta, essendo una soluzione facile apparentemente senza conseguenze per affrontare una serie di problemi, dalla carenza di domanda, al finanziamento della spesa pubblica, al salvataggio di imprese e banche. Con conseguenti danni.
Il valore della moneta è legato inoltre anche e soprattutto alla fiducia e alle aspettative nei confronti dello Stato. La teoria della moneta poggia sull’ipotesi che lo Stato sia ritenuto il custode degli interessi comuni. Ma così, ancora una volta, si sopravvaluta lo Stato, come se non fosse governato anche da interessi di parte e a volte di breve periodo, e si svaluta il mercato.
Liquidità monetaria e crescita, inoltre, non vanno necessariamente di pari passo. Senza dimenticare poi il problema del deficit da tenere sotto controllo. Se è vero che non tutti i deficit sono uguali e che se il deficit deriva dalla spesa per infrastrutture o istruzioni può favorire un’accelerazione della crescita economica che ripaghi ampiamente gli esborsi, il deficit e il debito, tuttavia, potrebbero provocare danni se derivano da spese improduttive.
L’ultimo pezzo mancante, è che la teoria sembra pensata per un mondo in cui non ci si debba relazionare con l’estero, con i tassi di cambio e con le possibili svalutazioni della moneta. Un’ipotesi tutt’altro che reale.
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