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Economia e finanza

Brexit a che punto è il divorzio tra Londra e Bruxelles

Dicembre 2018

Il voto in Parlamento dell'11 dicembre segnerà il percorso delle settimane successive. May conta i voti ma lo scenario più probabile è un'uscita senza accordo con l'UE.

Giorni decisivi per la Brexit. L'indirizzo, salvo sorprese, pare segnato. Ma il modo in cui ci si arriverà avrà il suo peso. L'11 dicembre il Parlamento britannico deciderà se accogliere o meno l'accordo firmato tra Londra e Bruxelles. Il sì è quantomeno improbabile: Theresa May dovrebbe ottenere 320 voti. Una maggioranza che, al momento non ha. Oltre ai laburisti (all'opposizione) c'è un fronte conservatore frammentato tra chi supporta May e chi vorrebbe una Brexit netta, senza piegarsi alla mediazione dell'UE.    

Cosa prevede l'accordo

Il pacchetto che il Parlamento è chiamato a votare è composto da una serie di condizioni-base e da alcune dichiarazioni politiche che abbozzano le relazioni future tra Londra e Bruxelles. Ecco quali sono i punti più importanti: la protezione dei diritti dei cittadini UE nel Regno Unito e di quelli britannici nei Paesi europei; una Brexit graduale, con un periodo di transizione fino al 2020, prorogabile per altri due anni; il versamento di 39 miliardi di sterline, che Londra aveva garantito all'UE per accordi e programmi precedenti al referendum; l'impegno a non istituire un confine fisico e doganale tra Irlanda (che resta nell'UE) e Irlanda del Nord. Ci sono poi alcuni paletti “politici”, da dettagliare in seguito: la libera circolazione dei cittadini non ci sarà più, ma i due contraenti dell'accordo si sono impegnati a consentire brevi viaggi senza l'obbligo di un visto; Londra avrà una politica commerciale indipendente e preserverà l'unità nazionale (un cenno che riguarda soprattutto l'Irlanda del Nord); c'è il proposito di creare un'area di libero scambio delle merci, una forte cooperazione per i servizi finanziari, la sicurezza e l'anti-terrorismo.  

Gli schieramenti in Parlamento

Perché Theresa May non ha una maggioranza? C'è, innanzitutto, l'opposizione di chi si era battuto per rimanere nell'UE. Il sogno è un nuovo referendum (ipotesi molto improbabile ma non impossibile) o una rinegoziazione ancora più soft. Ci sono poi, in direzione opposta, i fautori di una “hard Brexit”, secondo i quali le condizioni dell'attuale accorso sarebbero troppo morbide. Un nodo particolarmente intricato riguarda la gestione dei confini tra Irlanda e Irlanda del Nord. L'assenza di un confine fisico potrebbe portare – secondo i detrattori dell'accordo – a un distaccamento dell'Ulster oppure lascerebbe aperta una porta che – di fatto - non garantirebbe piena autonomia commerciale al Regno Unito.      

Cosa succede se l'accordo viene bocciato

Salvo sorprese, la proposta sarà bocciata. Se così fosse, May ha 21 giorni per presentarsi alla Camera dei Comuni e proporre un piano sui prossimi passi. Programma sul quale il Parlamento esprimerà un voto. C'è però di mezzo il Natale. Anche se i 21 giorni scadono alla fine del 2018, è probabile che l'esecutivo stringa i tempi per arrivare alla Camera prima della chiusura festiva, il 21 dicembre. A questo punto, le strade sono due: se il programma proposto fosse approvato, si procederà secondo quel che prevede. In caso contrario, il Regno Unito uscirebbe dall'UE senza accordo il 29 marzo 2019 (ultima data disponibile). In teoria, è possibile una proroga, che però Bruxelles non sembra intenzionata a concedere. Londra si ritroverebbe così a dover negoziare piccoli accordi per garantire l'attività quotidiana, in attesa di definire un quadro più organico. Non sarà semplice, anche perché la bocciatura rimescola le carte politiche: May perderà potere tra i conservatori. Potrebbe resistere a Downing Street. Oppure potrebbe esserci la sfiducia e un cambio alla guida dei Tory (e quindi un nuovo governo con la stessa maggioranza). Meno probabili sono le elezioni anticipate.