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Da una sponda all’altra dell’Atlantico. L’economia globale, al centro di stravolgimenti come la guerra commerciale e la Brexit, rallenta la sua crescita negli Stati Uniti e in Europa. E sia la BCE sia la FED si muovono, non a caso, con grande cautela, anche alla luce dei dati su disoccupazione e inflazione.
Stati Uniti. Le ultime statistiche sul lavoro Usa, in effetti, hanno confortato solo in parte. Se la disoccupazione è scesa ancora dai minimi storici (al 3,8% dal 4%), i nuovi occupati di febbraio hanno deluso le aspettative (20mila contro i 180mila previsti), mentre i salari sono aumentati del 3,4% su base annua. Una notizia positiva per i consumi, ma anche un sintomo che il margine di espansione residuale si sta assottigliando, con effetti sull’inflazione. Nello stesso mese di febbraio, l’inflazione americana è tornata a crescere dello 0,2% dopo quattro mesi consecutivi di rallentamento, registrando un incremento annuale dell’1,5%, il più basso da settembre 2016. Nulla, allora, nelle prospettive economiche americane, richiede una risposta immediata da parte della FED in merito alle decisioni sui tassi, ha affermato il governatore Jerome Powell, ribadendo la necessità di un approccio basato sulla “pazienza”. “Al momento, molti degli indicatori della forza del mercato del lavoro sono favorevoli come non lo sono stati da decenni. L'inflazione sarà un po’ più bassa del nostro obiettivo per un certo periodo a causa del calo dei prezzi dell'energia, ma questi effetti si dimostreranno transitori. Nonostante questo quadro positivo, abbiamo osservato dei venti contrari negli ultimi mesi”, ha detto Powell, sottolineando che “non c’è nulla nell’outlook economico che richieda una risposta immediata. E soprattutto a fronte di deboli pressioni dell’inflazione, la FED ha deciso di adottare un approccio basato sulla pazienza, sull’attendere e vedere prima di considerare un cambio della politica monetaria”.
Europa. Nel Vecchio Continente, la disoccupazione della zona euro a gennaio, ultimo dato disponibile, è rimasta stabile a 7,8% rispetto a dicembre 2018, il tasso più basso da ottobre 2008. Nella Ue a 28 è invece scesa a 6,5%, dal 6,6% di dicembre. I tassi più alti in Grecia (18,5%), Spagna (14,1%) e Italia (10,5%), i più bassi in Repubblica Ceca (2,1%) e Germania (3,2%). Anche la disoccupazione giovanile a gennaio è rimasta stabile: 16,5% nella zona euro e 14,9% nella Ue-28. Quella italiana è salita al 33%, dal 32,8% e resta la seconda più alta dopo la Grecia (39,1%). Sul fronte dei prezzi, la stima di Eurostat è che l’inflazione europea a febbraio si attesti intorno all’1,5%, in rialzo rispetto all’1,4% del mese precedente. Escludendo l’energia, il dato si abbasserebbe a un incremento dell’1,2%. Molto basso quindi. Davanti a questi dati, anche la Banca Centrale Europea si è unita al coro accomodante delle banche centrali. L’Eutower ha allungato il fermo dei tassi di interesse almeno fino a fine 2019 (anziché all’estate, come programmato). Ha inoltre annunciato un nuovo ciclo di TLTRO (Targeted Longer-Term Refinancing Operations), ossia i finanziamenti agevolati alle banche finalizzati alla concessione di credito, e ha confermato il reinvestimento dei proventi dei titoli di Stato acquistati negli anni del Quantitative Easing. Davanti al rallentamento economico superiore alle attese, la BCE è pronta a riaprire la famosa ‘cassetta degli attrezzi’, che resta piena di risorse in grado di stimolare la crescita. Cosa che ha già fatto ripetutamente anche in passato.
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