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Nuovo governo, stesse priorità. L'esecutivo guidato da Mario Draghi ha in testa alla propria agenda le misure capaci di tamponare gli effetti negativi della pandemia e rilanciare il Paese dal punto di vista economico. Il pilastro da cui partire per raggiungere l'obiettivo è sempre lo stesso: il Recovery Plan, con il quale l'Europa mette a disposizione dell'Italia 209 miliardi. Oltre a definire il loro impiego, Draghi dovrà decidere chi gestirà le risorse.
Il governo Conte, nella bozza inviata alla Commissione europea, non aveva ancora scelto la struttura incaricata. L'esecutivo era infatti diviso tra chi spingeva per una soluzione più “esterna” (attraverso la costituzione di una task force) e chi avrebbe preferito mantenere maggiore responsabilità in seno ai ministeri. Stando alle prime indicazioni, Mario Draghi dovrebbe preferire quest'ultima opzione.
Il nuovo presidente del Consiglio ha affermato che la gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (questo il nome del programma d'investimenti) sarà “incardinata nel ministero dell'Economia e delle Finanze, con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”. La regia è quindi affidata al MEF e alla sua nuova guida, Daniele Franco. Ad affiancarlo saranno i “ministeri competenti”. Vista l'ampiezza degli interventi, la loro lista potrebbe essere lunga. Di sicuro, un ruolo chiave lo avranno i due che sembrano tagliati a misura di Recovery Plan: il ministero dell'Innovazione tecnologica e transizione digitale, guidato da Vittorio Colao, e quello della Transizione ecologica con a capo Roberto Cingolani. Importante dovrebbe poi essere il ruolo del ministro delle Infrastrutture e della mobilità, affidato a Enrico Giovannini.
Dovrebbe essere questa la piccola piramide ministeriale incaricata di gestire i miliardi europei. Il governo è una commistione di politici e tecnici. Ma, a scorrere questa breve lista si nota come l'efficacia del Recovery Plan venga affidata a questi ultimi. Franco era, fino alla nomina a ministro, direttore generale della Banca d'Italia; Colao è un manager di livello internazionale; Cingolani un fisico e Giovannini un economista già a capo dell'Istat. Senza dimenticare che è un tecnico lo stesso Draghi, con un passato in Bankitalia e BCE.
La governance non è un dettaglio: è uno dei criteri che la Commissione Ue valuterà per esprimere un giudizio sui piani nazionali. Tutti i Paesi Ue hanno dovuto scegliere (o lo stanno facendo) la struttura incaricata di gestire il Recovery Plan. La decisione è di natura politica, anche se sembra pesare la consistenza delle risorse. Gli Stati paragonabili all'Italia per complessità della macchina pubblica ed entità degli aiuti (come Francia e Spagna) hanno istituito commissioni ad hoc che riferiranno direttamente al premier o al presidente. Altri Paesi, come la Germania e la Grecia, hanno preferito puntare sui ministeri senza creare nuove strutture. Stando alle parole di Draghi, l'Italia sembra rappresentare una sorta di ibrido: pur ricevendo ben 209 miliardi (nessun altro Paese otterrà tanto), la gestione resta ancorata ai ministeri.
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