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Vogliamo condividere con voi la prima di una serie di analisi condotte dal nostro partner di ricerca CIFS. Da oltre un decennio collaboriamo con il Copenhagen Institute for Futures Studies (CIFS) per avere una comprensione più profonda dei megatrend, le potenti forze secolari che stanno cambiando l'ambiente, la società, la politica, la tecnologia e l'economia. Il CIFS è un think tank e una società di consulenza leader a livello mondiale che utilizza un'ampia gamma di metodi di ricerca, sviluppati negli ultimi 40 anni, che includono analisi dei megatrend, pianificazione degli scenari, gestione del rischio, iniziative di innovazione e sviluppo di strategie.
Attraverso la nostra partnership, abbiamo ideato un quadro di riferimento che incorpora i 14 megatrend di CIFS e che include tendenze come lo sviluppo demografico, l'economia della rete, il focus sulla salute, la sostenibilità e lo sviluppo tecnologico.
In qualità di partner di CIFS, abbiamo accesso alla ricerca in aree normalmente non coperte dalla comunità degli analisti degli investimenti, come i cambiamenti negli atteggiamenti e nelle convinzioni sociali, l'impatto che ciò ha sull'ambiente e sul settore aziendale e l'accelerazione dello sviluppo tecnologico. Siamo orgogliosi di essere associati a CIFS e intendiamo condividere con voi alcune delle loro ricerche, ritenendo possano contribuire ad una migliore comprensione di come stia cambiando il nostro mondo e di conseguenza ad una maggiore consapevolezza, anche in ambito finanziario.
Di seguito un breve estratto della ricerca, con la possibilità di scaricare l’intero documento originale (in inglese) per i sottoscrittori della nostra newsletter.
Il futuro è mutevole e imprevedibile. Lo è sempre stato. Per molto tempo, però (almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale), le condizioni alla base dell'assetto globale hanno conservato una certa costanza. I pilastri di quell'assetto si stanno sgretolando, tracciando i contorni di un nuovo mondo.
La democrazia liberale appare in declino. Secondo una ricerca pubblicata sull'Economist, oggi esistono solo venti cosiddette “democrazie complete”, contraddistinte da stato di diritto, ampie libertà civili, una forte cultura democratica e pluralismo mediatico. In questi venti Paesi vive appena il 4,5% della popolazione mondiale. Una minoranza, circondata da Stati apertamente anti-democratici o caratterizzati da forme di democrazia “ibrida”.
In questo quadro, la coesione sociale soffre, messa alla prova da una crescente polarizzazione economica (con diseguaglianze sempre più accentuate) e da una sorta di “smarrimento” culturale. In Occidente, infatti, la civiltà sta vivendo una crisi d'identità: lo spirito democratico, liberale, cosmopolita e internazionalista impostosi dopo il crollo dell'Unione Sovietica, si sta dissipando. Lascia spazio a una tendenza che, quando non sfocia in aperto nazionalismo, tende a privilegiare quanto succede all'interno dei propri confini. Per un'azienda o un investitore, navigare questo nuovo assetto globale potrebbe rivelarsi complicato, alle prese con barriere commerciali, protezionismo e standard difformi. Il successo in un Paese o in un blocco di Stati dipenderà anche da fattori politici e non solo commerciali. E per raggiungerlo le imprese dovranno chiedersi quanto siano disposte preservare il proprio DNA democratico.
Dalla rivoluzione industriale, il mondo occidentale ha dominato lo sviluppo della scienza e della tecnologia. Le nazioni asiatiche, con la Cina in testa, stanno però sfidando l'egemonia occidentale in diverse aree, tra le quale IT, trasporti e biotecnologie.
La crescita cinese, che si sta convertendo in una superpotenza concentrata sui settori ad alto valore aggiunto, non ha solo messo in discussione il ruolo dell'Occidente come guida scientifico-tecnologica: ha abbattuto la convinzione che una democrazia piena sia un prerequisito per la crescita e la prosperità. L'assetto politico s'intreccia così con quello economico e tecnologico. Difficile dire come si evolveranno gli equilibri: l'Oriente sostituirà l'Occidente nel ruolo di guida? E quanto le differenti regole sul piano democratico e concorrenziale (come ad esempio le leggi anti-trust) impatteranno sugli sviluppi futuri?
Lo scenario politico è legato a doppio nodo con quello tecnologico ed economico. La globalizzazione ha, fino ad ora, avuto un'influenza culturale guidata dall'Occidente. Andando oltre le relazioni commerciali, le imprese europee e statunitensi sono state il modello da seguire: dopo la caduta dell'Unione Sovietica, democrazia liberale e capitalismo si sono imposti come unica via possibile. Già oggi (e probabilmente ancor di più in futuro), il quadro è più fluido. Dall'universo al multiverso. Alla luce di questo scenario, nel quale Europa e Nord America evidenziano segnali di stanchezza, pare chiaro che le grandi istituzioni internazionali nate dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiano un assetto datato.
Le economie emergenti hanno quasi raddoppiato la loro quota del PIL globale negli ultimi quarant'anni. Entro il 2030, sfioreranno il 60% del prodotto interno lordo e ospiteranno l'85% della popolazione mondiale. “Il futuro – scriveva la Wto nel 2008 - non sarà unico nel modo in cui l'Occidente ha creduto a lungo sarebbe dovuto essere, ma plurale e ibrido, senza dubbio con un forte sapore cinese”.
Impossibile parlare di futuro economico e politico senza coinvolgere il riscaldamento globale. L'impatto è già visibile, ma dovrebbe diventare sempre più significativo: le condizioni meteorologiche estreme condizioneranno i prezzi dei generi alimentari, aumenterà il numero dei “rifugiati climatici” e cambierà il flusso delle migrazioni. Stati e imprese non possono sfuggire alla necessità di fare della sostenibilità un pilastro della propria strategia.
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