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Davanti al timore di un nuovo crollo dei prezzi del petrolio e a un conseguente scenario apocalittico, i Paesi produttori di greggio hanno trovato un accordo. Il lavoro della diplomazia è servito a identificare il male minore per molti, se non per tutti. Questi i risultati della riunione di Vienna, che ha portato negli ultimi giorni a scontri e tensioni, ma che si è conclusa con una riduzione di 1,2 milioni di barili al giorno. Un taglio in linea con le aspettative di analisti e mercati.
Lunedì 3 dicembre 2018 passerà alla storia come il giorno in cui il ministro dell’energia del Qatar, Saad Sherida al-Kaabi, ha annunciato l’uscita del Qatar dal cartello. Il motivo è molto semplice: Doha vuole investire nella produzione del GNL, il gas naturale liquefatto, e passare dall’attuale produzione di 77 milioni di tonnellate equivalenti all’obiettivo stabile di 110 milioni. In molti hanno letto la scelta come conseguenza dell’insanabile frattura con l’Arabia Saudita, ma il ministro al-Kaabi ha assicurato che non si tratta di una decisione politica. Ora l’accordo dell’Opec è stato vissuto dai mercati come un sollievo, perché il milione e 200 mila barili in meno al giorno significa una sforbiciata di poco più dell’1% della produzione globale e terrà conto della riduzione di 800 mila barili da parte dei 14 Paesi membri dellOpec e di 400 mila da parte dei 10 soci al di fuori del cartello.
Da questo accordo vanno esclusi alcuni Paesi, che hanno trovato un’intesa diversa. L’Iran è stato sollevato dal patto a causa delle sanzioni degli Stati Uniti, così come Libia e Venezuela per via delle due crisi economiche. Ma c’è anche chi ha avuto uno “sconto”: la Russia, che fino a pochi giorni fa era decisamente in dubbio sul taglio della produzione, ha accettato di produrre 200 mila barili di greggio al giorno in meno rispetto all'attuale situazione.
La maggiore produzione di shale-oil americano ha portato a un crollo del prezzo del petrolio del 30% negli ultimi due mesi, passato da oltre 86 dollari al barile a meno di 62. Le borse infatti hanno dato il proprio assenso all’accordo, portando il Brent (il petrolio europeo del mare del Nord) a quasi 63 dollari al barile e il WTI statunitense a oltre 53 dollari e mezzo al barile. Anche il ministro dell’Energia della Russia Alexander Novak ha voluto sottolineare come la collaborazione dell’Opec sia “forte come sempre” e che “è estremamente importante mandare un segnale forte e agire con determinazione”. Una posizione diversa da quella del Presidente degli USA Donald Trump, che si era esposto contro un taglio della produzione di greggio, sostenendo che fosse simile a un taglio delle tasse. Un consiglio rimasto inascoltato a Vienna.
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