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L’Unione europea ha messo la produzione di idrogeno fra le tappe necessarie per la decarbonizzazione del Continente entro il 2050. Le cose però non sono così semplici, perché l’idrogeno non è disponibile in natura. Per ricavarlo, richiede processi industriali che consumano tanta energia. Poi va trasportato, raffreddato a -250 gradi per renderlo liquido, mentre a livello gassoso va sottoposto a pressioni che arrivano a 700 atmosfere.
Oggi nel mondo si producono 73,9 milioni di tonnellate di idrogeno per un valore di mercato di 150 miliardi di dollari. Il 96% arriva da combustibili fossili: questo si chiama idrogeno “grigio” e per produrlo si utilizza soprattutto il metano, ma anche petrolio e carbone. Un processo che libera 9 chilogrammi di CO2 ogni chilogrammo prodotto: quindi questo processo è incompatibile con gli obiettivi di emissioni zero. Poi c’è l’idrogeno “blu”, estratto da idrocarburi fossili dove – a differenza del “grigio” – l’anidride carbonica che risulta dal processo non viene liberata nell’aria bensì viene catturata e immagazzinata. Su questo sono in corso molte sperimentazioni non sempre soddisfacenti, ma resta il fatto che utilizzare combustibile fossile per trasformarlo in idrogeno, e sotterrare la CO2 prodotta, richiede una enorme quantità di energia.
L’unico idrogeno a zero emissioni è quello “verde”, perché la materia prima utilizzata è l’acqua e l’energia per produrlo è elettrica e può provenire da fonti rinnovabili. Oggi però l’idrogeno verde rappresenta solo il 4% della produzione dell’idrogeno mondiale, soprattutto perché il costo per produrlo è alto: dai 4 ai 6 euro per un chilogrammo di idrogeno verde, contro l’1,5-2 di quello grigio o blu.
La Commissione europea prevede che con l’aumento della produzione il costo degli elettrolizzatori, i macchinari per produrre idrogeno dall’acqua, si dimezzerà entro il 2030 e nel 2040 l’idrogeno verde potrebbe diventare competitivo.
Per arrivare a emissioni di carbonio zero nel 2050, l’8 luglio 2020 l’Ue ha stabilito che la produzione di idrogeno verde dovrà passare in 30 anni dal 2% al 14% in tre tappe: entro il 2024 l’installazione di 6 gigawatt di elettrolizzatori per produrre 1 milione di tonnellate di idrogeno verde; entro il 2030 almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate; entro il 2050 un quarto di energia rinnovabile generata servirà a produrre idrogeno verde da utilizzare su larga scala.
Francia e Germania hanno varato piani di ricerca sull’idrogeno da quasi 10 miliardi di euro. E anche l’Italia è entrata nella Alleanza europea per l’idrogeno, che riunisce industria, autorità pubbliche nazionali e locali e società civile. Ma il percorso è lungo.
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha affermato in un’intervista: “Non possiamo perdere il treno dell’idrogeno, e infatti destineremo 3,4 miliardi del Pnrr a questo settore. Ma la verità è che non siamo pronti: se degli extraterrestri sbarcassero sulla Terra con tutto l’idrogeno dell’Universo, non sapremmo cosa farcene, non sapremmo come stoccarlo, come trasportarlo, come utilizzarlo. E comunque per produrre idrogeno, cioè per estrarlo dall’acqua, ci vuole energia: sarebbe paradossale usare i combustibili fossili per fare l’idrogeno. Anche per questo è cruciale accelerare sulle fonti rinnovabili: quando supereremo la soglia del 70% potremo usarle anche per fare idrogeno”. Ma “Perché l’idrogeno diventi un vettore energetico diffuso nella società ci vorranno tempi più lunghi. Succederà quando saremo diventati molto bravi a produrre energia da fonti rinnovabili”.
Sempre Cingolani in un’altra intervista spiega: “In Italia, se vogliamo partire subito con l’idrogeno, dobbiamo dire sì all’idrogeno blu. Se vogliamo l’idrogeno verde, ci servono subito 70 nuovi gigawatt di rinnovabili. Altrimenti, dobbiamo trovare altri modi. È una scelta politica, deciderà il Parlamento”.
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