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Economia e finanza

USA e Cina: la guerra commerciale si fa sull’hi-tech

Febbraio 2019

La grande divergenza tecnologica a livello globale si divide tra la sfera d’influenza cinese e quella americana. Il simbolo di questa nuova guerra fredda è colosso cinese Huawei.

L’evento di rottura è stato l’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei, avvenuto in Canada su richiesta degli Stati Uniti, con l’accusa di aver violato le sanzioni sull’Iran. Da qui si è inasprita quella che era già una guerra commerciale tra Pechino e Washington e che è in realtà anche e soprattutto una guerra per la leadership tecnologica mondiale. Accuse e ritorsioni sono volate da una parte all’altra. E a fine gennaio sono stati mossi timidi passi per evitare la crescita dei dazi su 200 miliardi di prodotti cinesi dal 10 al 25% dall’1 marzo, ma il percorso per la stesura di un vero e proprio accordo è ancora agli inizi.

Perché i dazi e le misure protezionistiche in ottica anti-cinese sono solo l’effetto evidente di un cambiamento in atto molto più profondo. L’amministrazione Trump è consapevole che la leadership americana, e soprattutto quella tecnologica, non sono più scontate. E il sorpasso di Pechino su Washington sembra vicino. Diversi report sostengono che entro il 2025, o al massimo il 2030, potrebbe esserci il sorpasso nel campo dell’intelligenza artificiale applicata al militare potrebbe già essere realtà.

Un rischio che né Trump né il blocco occidentale vogliono correre. L’offensiva su Huawei da parte di molti Paesi europei dimostra in effetti che non sono solo gli Usa a voler bloccare l’ascesa cinese. Dopo anni di presenza nella Silicon Valley, gli Usa hanno cominciato a bloccare Pechino adottando una stretta ai visti per cittadini cinesi operanti nel settore tecnologico. E alla fine Huawei è stata colpita utilizzando il rischio per la sicurezza nazionale sulla base di regole create dagli stessi Stati Uniti sull’Iran, a sua volta individuato come nemico in Medio Oriente.

Quello che è in gioco, in questo intricato labirinto di mosse incrociate, è la supremazia nel comparto hi-tech e delle reti 5G. Trump aveva criticato le pratiche commerciali cinesi ancora prima di diventare presidente. Nel 2017 un’indagine condotta da Robert Lighthizer, rappresentante per il commercio degli Stati Uniti, accusava la Cina di usare restrizioni alle proprietà straniere, inclusi i requisiti per avviare joint venture, per costringere le aziende americane a trasferire la loro tecnologia e know how alle entità cinesi. A preoccupare la Casa Bianca sono le violazioni della proprietà intellettuale.

Il progetto di trasformazione dell’economia nazionale cinese “Made in China 2025", tra le altre cose, punta proprio a raggiungere la massima innovazione possibile nel comparto dell’intelligenza artificiale, della robotica e dell’Internet of Things, dei dispositivi intelligenti e interconnessi.

Tecnologie innovative che funzioneranno anche grazie alle reti 5G sviluppate da campioni nazionali come Huawei, appunto, uno dei più grandi fornitori di servizi e sistemi di telecomunicazioni a livello globale. Il colosso di Shenzen conta oltre 180mila addetti, con attività in più di 170 tra nazioni e regioni, per ricavi pari a 92,55 miliardi di dollari. Quella del 5G è partita centrale, che ha messo radici già in diversi Paesi europei con contratti milionari. Un mercato che genererà per la Cina, come riferisce uno studio della China Academy of Information and Communications Technology, un giro di affari pari a 166 miliardi di dollari entro il 2025, creando 8 milioni di posti di lavoro.

Ma mano a mano che la tensione tra Stati Uniti e Cina si alza, aumentano però i problemi per un terzo soggetto: l’Europa. Da una parte c’è la storica alleanza militare e geopolitica con gli Stati Uniti, dall’altra le opportunità di investimento offerte dalla Cina. Washington spinge perché gli alleati dell’Ue creino un fronte occidentale, invitandoli a essere “cauti” e a non firmare nuovi contratti. Le minacce di Trump sulla Nato non sono certo un caso. Ecco perché diversi Paesi, istituzioni ed enti stanno escludendo Huawei dai finanziatori (come ha fatto l’università di Oxford), sollevando il dubbio della sicurezza nazionale.

In Germania, Angela Merkel ha sottolineato la necessità di ricevere garanzie che i dati non vengano raccolti e spediti in Cina. Il Regno Unito sta raccogliendo elementi per decidere se bandire Huawei. La Francia si è detta “cosciente dei rischi” e disposta a “prendere provvedimenti necessari” se dovessero emergere prove di spionaggio. E anche l’Italia “valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità”.