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Lo scenario macroeconomico del mese di ottobre è caratterizzato da una crescita dell’economia americana, forte anche di una spinta fiscale, che ha portato il tasso di disoccupazione ai minimi da diversi anni (3,7%). I risultati raggiunti negli USA hanno convinto il mercato obbligazionario che i tassi di interesse, stabilizzati nel corso degli ultimi trimestri, non fossero più adeguati. A questo scenario ha contribuito anche un leggero cambio di tono di Powell. Il presidente della FED ha sempre dichiarato di voler proseguire con rialzi graduali di 25 Punti Base ogni trimestre, andamento già atteso dai mercati, che avevano previsto anche un punto di arrivo più o meno fissato al 3% vicino al tasso naturale.
A riguardo Powell, in passato, ha affermato di non credere molto all’r*, tasso naturale considerato dalla maggior parte degli economisti come punto di equilibrio da raggiungere da parte della politica monetaria, e ha anche aggiunto che se esiste questo livello si sta muovendo verso l’alto. Questa dichiarazione ha fatto capire che Powell intende contrastare il rischio di surriscaldamento dell’economia. Ecco perché i tassi a 10 anni hanno oltrepassato il 3% arrivando fino al 3,25%.
Andrea Delitala, Head of Investment advisory di Pictet AM Italia
Le prossime elezioni midterm saranno decisionali su questo fronte perché nel caso che la camera bassa, che viene votata interamente, rimanesse repubblicana, è molto probabile che le politiche favorevoli alla crescita di Trump trovino conferma, obbligando la FED ad alzare i tassi oltre il 3%. Questa ipotesi comporterebbe tassi elevati, l’obbligazionario americano sotto pressione, il dollaro sostenuto e i mercati emergenti di nuovo in difficoltà. Nello scenario più probabile, con il rovesciamento della camera bassa e la vittoria del partito democratico, i tassi di interesse del dollaro avrebbero maggior stabilità e ci sarebbero più chance per i mercati emergenti.
In Italia, dopo la tempesta estiva, sembrava definito un compromesso sulla legge di bilancio con un deficit per l’anno prossimo fissato al 2%. Questo accordo pareva essere il punto di equilibrio fra l’esigenza di cominciare a implementare parte delle promesse elettorali e la disciplina di bilancio concordata con i partner europei. Il compromesso non è stato mantenuto, arrivando fino al 2,4%. Il risultato è uno scontro con l’Europa, che non potrà esimersi dal far rispettare determinati impegni europei e potrebbe aprire una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Inoltre, le agenzie di rating si pronunceranno a fine mese registrando una disciplina di bilancio non più congruente. I numeri non rappresentano ancora una minaccia alla stabilità del debito, ma c’è un atteggiamento politico nuovo che ha un’implicazione, che fa considerare l’Italia un po’ più sola e contraria alle regole di convivenza europee. La possibilità di Ital Exit non è trascurabile dal mercato, infatti almeno 100 Punti Base su 300 dello spread sono da scriversi a questo ipotesi.
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