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Agosto non è certo stato un periodo di riposo per il panorama economico-finanziario. Sia sul fronte interno, con la crisi di governo, sia nel panorama internazionale, contraddistinto dal perdurare delle tensioni commerciali.
Matteo Salvini ha aperto la crisi balneare, risolta poi nelle dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il presidente della Repubblica ha avviato le consultazioni e trovato un accordo lungo l'asse M5S-Pd, disponibili a varare un Conte bis. Piazza Affari ha reagito positivamente, così come i titoli di Stato: lo spread e il rendimento del Btp decennale in calo sono i segnali più chiari della benevolenza nei confronti del nuovo esecutivo. Diverse sono le possibili ragioni: viene allontanata l'opzione dell'esercizio provvisorio. La legge di Bilancio dovrebbe essere varata da un governo nel pieno dei suoi poteri. E senza la Lega, si affievolisce l'approccio euroscettico, che potrebbe contribuire ad ammorbidire Bruxelles.
Se oltre-Atlantico Trump resta critico nei confronti del presidente della Fed, la Bce non sembra avere remore a proseguire la propria politica espansiva. A luglio, Mario Draghi ha indicato la via al suo successore, Christine Lagarde: i tassi resteranno ai livelli minimi per un periodo più lungo del previsto e non è escluso che scenderanno ancora. Sembrava già un'apertura notevole, che però è stata ampliata da Olli Rehn: il governatore della Banca di Finlandia ha affermato che Francoforte potrebbe riprendere in mano il bazooka già nella riunione del 12 settembre, varando un sostanzioso piano di stimoli con un mese di anticipo rispetto a quanto lasciato intendere da Draghi.
A metà agosto, Donald Trump ha rimandato nuovi dazi del 10% su importazioni cinesi per 300 miliardi di dollari. Sarebbero dovuti entrare in vigore a settembre, slittano a dicembre. Sembrava una mossa di distensione, così come quella di congelare per altri 90 giorni il blocco che impedisce alle imprese Usa di collaborare con Huawei. La Cina ha però reagito con forza, imponendo 75 miliardi di dazi sulla merce Made in Usa. Una mossa che ha irritato Washington, convincendo Trump ad annunciare nuove tariffe fino al 30% per alcuni prodotti cinesi. Lo scontro si è però ridimensionato poche ore dopo, con la Cina pronta ad aprire nuovi negoziati e la Casa Bianca che ha risposto definendo la mano tesa “una grande notizia”.
Sullo sfondo di un G7 all'insegna della concordia, uno dei fronti caldi rimane quello della Brexit. Alla fine di luglio, Boris Johnson è diventato capo del governo e il 28 agosto ha chiesto alla Regina Elisabetta (e ottenuto) la chiusura del Parlamento dall'inizio di settembre fino al 14 ottobre. Una mossa concessa dall'ordinamento, che però pare una chiara forzatura nel tentativo di bloccare l'ostruzionismo anti-No Deal, cioè l'uscita dall'Ue prevista entro il 31 ottobre in assenza di un accordo con Bruxelles. Riprende quindi forza la possibilità di una Brexit senza rete di protezione o “Hard”, cioè con un distacco netto dall'Ue.
Se Londra piange, Berlino non ride. Ad agosto sono arrivate le conferme ufficiali al rallentamento dell'economia tedesca. L’indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese, è calato a 94,3, dai 95,7 di luglio. La flessione è peggiore rispetto a quella prevista dagli analisti e anche le prospettive per i mesi a venire sembrano cupe. L'aspettativa è sicuramente condizionata dai dati sul Pil. Il Prodotto interno lordo della Germania, ha certificato l'istituto statistico Destatis, è sceso dello 0,1% nel periodo aprile-giugno. Male le esportazioni, in calo dell'1,3%. Neppure il dato tendenziale è incoraggiante: il Pil è salito dello 0,4%, rallentando rispetto al +0,9% registrato nel primo trimestre 2019.
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