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Superata la fase acuta della crisi dovuta all’esplodere della pandemia da COVID-19, l’economia mondiale sembra essere in marcia per la ripresa. Sia le stime del Fondo Monetario Internazionale sia quelle di primavera dell’Unione europea tracciano un quadro positivo delle prospettive di crescita globale e dell’area Euro per il 2021 e per il 2022. Di fronte a questo, i mercati di maggio hanno generato buone performance. Pur con nuovi rischi che si profilano all’orizzonte, dal timore dell’inflazione alla paura del tapering.
La minaccia più temuta del momento è certamente quella di una ripresa consistente della corsa dei prezzi. A dare l’allarme è stato il dato di aprile sull’andamento dell’inflazione negli Stati Uniti, che ha registrato un rialzo mensile dello 0,9% ma un valore tendenziale del 4,2%, il più alto da 13 anni a questa parte. Il timore che una ripresa della corsa dei prezzi negli Stati Uniti e in Europa possa spingere le banche centrali ad anticipare le misure di rientro da una politica monetaria super espansive ha messo in allarme i mercati azionari, che in pochi giorni hanno perso il 5%, salvo poi recuperare gran parte delle perdite.
Il dato europeo dell’inflazione di aprile è infatti in linea con le aspettative, l’1,6%, e anche la fiammata statunitense secondo la Fed dovrebbe essere momentanea. La Federal Reserve continua comunque a rassicurare i mercati, ribadendo che l’accelerazione dell’inflazione sarà temporanea e la banca centrale USA non rivedrà le proprie misure di stimolo. E le stesse rassicurazioni arrivano dalla BCE. “Stiamo attualmente assistendo a un aumento transitorio dell’inflazione guidato dall’aumento dei prezzi delle materie prime a livello globale, dagli effetti statistici e dall’inversione del taglio tedesco dell’Iva. Ma questa sarà una gobba temporanea”, ha spiegato Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea.
Strettamente collegati ai rischi di inflazione sono gli andamenti dei prezzi delle materie prime. Un aumento dei costi per l’acquisto di materie prime tende infatti a scaricarsi in prezzi più alti dei prodotti finiti.
Le quotazioni del greggio, ad esempio, sono passate dai 45 dollari di fine novembre ai 65 dollari del 20 maggio. L’indice GS Commodity Index, che rappresenta un paniere di 24 contratti futures su altrettante materie prime di base, è passato da 410 di inizio gennaio a 505, un rialzo di oltre il 22%. Solo l’oro è rimasto stabile sui valori di inizio anno, registrando anzi un leggero arretramento dell’1,40%.
A causa dei rincari record delle materie prime, uniti alle difficoltà logistiche legate alla pandemia e alla carenza di semiconduttori, anche la discesa dei costi delle rinnovabili – decisiva per vincere la competizione con le fonti fossili – si è fermata.
Con il termine “Tapering” si fa riferimento al processo di rallentamento del ritmo di acquisti mensili di titoli di Stato e non da parte delle banche centrali. Riguarda un aspetto decisivo delle politiche di rilancio economico adottate dalle economie avanzate dopo la pandemia. La BCE, ad esempio, ha varato il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme) dell’ammontare iniziale di 750 miliardi di euro, poi portati a un totale di 1.850 miliardi nel dicembre scorso. Attualmente gli acquisti di titoli oscillano tra i 25 e i 15 miliardi a settimana, circa 80 miliardi al mese.
Negli ultimi 12 mesi le azioni hanno goduto di un mix molto favorevole, grazie all’ingente liquidità messa sul campo dalle banche centrali. Tuttavia, ora che la ripresa sta diventando più solida, sembra che la crescita nelle valutazioni azionarie non possa continuare a questo ritmo così elevato. Le preoccupazioni in merito all’inflazione e a un surriscaldamento della situazione economica hanno già indotto alcune banche centrali, quelle di Cina, Canada e Regno Unito su tutte, a frenare o adeguare gli acquisti di attività. Sia la Fed sia la BCE hanno smentito di voler iniziare a ridurre il ritmo degli interventi. Ma i mercati sono in allarme e si teme un’ondata di volatilità.
Il prezzo di un bitcoin è sceso dagli oltre 57.600 dollari del 12 maggio ai 32.600 dollari registrati il 23 maggio. Il brusco calo ha fatto perdere alla criptovaluta attorno al 43% del suo valore, portandola a toccare un minimo da inizio febbraio. Il calo ha avuto una serie di cause, tra cui alcuni discussi tweet di Elon Musk, amministratore delegato della casa automobilistica Tesla e della società aerospaziale Space X, e gli stop alla moneta virtuale arrivati dalla Cina.
Il 12 maggio Musk ha comunicato su Twitter di aver sospeso l’opzione di acquistare un’auto Tesla in bitcoin fino a quando la generazione della criptovaluta non avverrà attraverso fonti di energia sostenibili. Mentre il 18 maggio la National Internet Finance Association of China, che riunisce società cinesi fornitrici di servizi finanziari via Internet, la China Banking Association, che riunisce le banche e la Payment and Clearing Association of China, che comprende aziende attive nell’industria dei pagamenti, hanno consigliato ai loro membri di sospendere le attività di finanziamento legate alle criptovalute.
I leader degli affari commerciali di Cina e USA hanno avuto il loro primo colloquio sotto l’amministrazione del presidente americano Joe Biden. In una nota, il ministero del Commercio di Pechino ha riferito che il vicepremier Liu He e la rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai, hanno avuto una conversazione “schietta, pragmatica e costruttiva”.
I due capi delegazione dovranno riprendere i negoziati in fase di stallo da mesi su dazi e tariffe. Le trattative USA-Cina sono rimaste ferme durante la pandemia. Nel frattempo, Pechino ha innescato la ripresa, pur tra molte difficoltà, tra cui l’aumento del costo delle materie prime. Mentre i dazi imposti dagli USA e non ancora rimossi rappresentano un’altra zavorra non indifferente alla crescita.
La possibilità di una ripresa dei negoziati è un aspetto positivo che emerge in un momento di forte competizione tra le due superpotenze economiche mondiali.
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