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Politiche Energetiche

Fukushima: da disastro nucleare ad hub di energie rinnovabili

Gennaio 2020

Nove anni dopo la catastrofe, l'area ambisce ad alimentarsi con energia eolica e solare. Ma il governo non ha ancora abbandonato il nucleare.

Sono passati nove anni dal più grave disastro nucleare del dopo-Chernobyl. Oggi Fukushima sta cercando di reinventarsi, trasformandosi in un hub per l'energia rinnovabile.

Il disastro nucleare di Fukushima nel 2011

La prefettura costiera giapponese sarà sempre ricordata per una data, l'11 marzo 2011. Lo tsunami provocato da un violento terremoto travolse le strutture della centrale di Fukushima Dai-ichi. I sistemi di emergenza funzionarono, interrompendo la fissione. Ma quelli di raffreddamento, danneggiati, non riuscirono ad abbassare le temperature dei reattori a sufficienza, provocando la fuga di materiale radioattivo. Furono costrette all'evacuazione 150 mila persone.

Fukushima oggi: la rinascita grazie alle fonti rinnovabili

Pian piano, però, Fukushima sta provando a dimenticare quella catastrofe. E per quanto il passato non si possa cancellare, la città è diventata sede di un progetto che mira ad alimentare l'intera area con energia 100% rinnovabile entro il 2040. Oggi la quota è del 40%. Il progetto richiede investimenti per 300 miliardi di yen (circa 2,75 miliardi di dollari). Prevede la costruzione di 11 parchi solari e 10 eolici. Sorgeranno su terreni agricoli abbandonati e in aree montuose entro la fine di marzo 2024. Una volta completato, il progetto genererà fino a 600 mega-watt di elettricità, pari a circa due terzi della potenza di una centrale nucleare media. Questo serbatoio di energia alimenterà anche Tokyo, che in passato dipendeva proprio dall'impianto danneggiato nel 2011.

Energie rinnovabili e non rinnovabili: il mix giapponese

Puntare sulle rinnovabili, però, non è detto che porti ad un totale abbandono del nucleare. Dopo lo tsunami, il Giappone ha chiuso tutti i suoi 54 reattori, procedendo a rigide ispezioni. Oggi ne sono tornati in funzione nove. Il governo resta deciso a mantenere una quota prodotta dalle centrali nel proprio mix energetico, attorno al 20% entro il 2030. Una scelta però fortemente discussa, anche all'interno dell'esecutivo oltre che dalle associazioni ambientaliste, perché il precedente di Fukushima ricorda quanto il Paese sia a rischio sismico. Il Giappone è un grande importatore di carbone e, nel 2018, le fonti rinnovabili hanno rappresentato poco più del 17% del mix energetico del Paese, con l'ambizione di arrivare oltre il 22% entro il 2030.