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Con il proliferare di fake news sul clima, pubblicate da siti specializzati, si alimentano i falsi miti che possono anche manipolare alcune fette dell’opinione pubblica, con l’effetto di ritardare le fondamentali politiche di governi e aziende per contrastare il riscaldamento globale e l’aumento delle calamità naturali in tutto il globo. Ecco i dieci falsi miti più comuni sul cambiamento climatico.
Il nostro pianeta, che ha 4,5 miliardi di anni, ha visto alternarsi diversi cicli del clima. Ha assistito a piccole e grandi ere glaciali per poi tornare ad avere climi caldi e miti in diverse fasce terrestri, favorendo così lo sviluppo della vita. Il problema è che questi movimenti avvenivano in diverse centinaia o migliaia di anni, mentre dopo l’industrializzazione causata dall’uomo l’impennata del caldo record si è notata in pochi decenni.
È vero che l'attività solare influenza la temperatura della Terra, ma quando si misurano l’impatto del sole, dei vulcani e di altri aspetti che influiscono sulle temperature del pianeta la componente sostanziale resta la CO₂. E gli scienziati ci dicono che, dal 1970, la temperatura media globale è aumentata a un ritmo sostenuto circa 170 volte rispetto al tasso degli ultimi 7.000 anni. Inoltre, secondo le serie storiche, dal 1870 a oggi l’andamento del sole ha portato alla variazione della temperatura globale al massimo di uno 0,1 grado celsius.
La transizione ecologica richiede investimenti pesanti e molte competenze, nessuno può negarlo, ma crea moltissimi posti di lavoro e soprattutto ci costerà di meno rispetto allo scenario catastrofico al quale andremmo incontro se non lavorassimo per abbassare l’innalzamento delle temperature medie, come concordato negli accordi di Parigi. Grazie a questi investimenti migliora infatti la qualità della vita di centinaia di migliaia di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
Secondo il Rapporto di Valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), più riduciamo le emissioni di gas serra e maggiore sarà lo sviluppo socioeconomico sul lungo periodo. Ignorare gli effetti del cambiamento climatico e continuare a vivere al di sopra delle nostre possibilità, invece, farebbe perdere fino al 20% del PIL globale.
Per suffragare la propria tesi, i negazionisti del clima dicono che non dobbiamo avere paura del riscaldamento globale perché circa un migliaio di anni fa anche la Groenlandia era tutta verde e non coperta dal ghiaccio come oggi. Niente di più falso: il nome Groenlandia effettivamente deriva da Grönland, che significa appunto “terra verde”, ma per via di una piccola estremità nel sud dell’isola che ancora oggi non ha ghiacci perenni.
In realtà sono più del 90% gli esperti climatici e gli scienziati d’accordo sul fatto che le attività degli esseri umani sono il motivo del cambiamento climatico in atto. Per riutilizzare una provocazione lanciata dalla climatologa Kate Marvel, che lavora nel Goddard Institute della NASA, “siamo più sicuri che i gas serra prodotti dall'uomo stiano causando il riscaldamento globale di quanto lo siamo sul fumo come causa del cancro”. Un’evidenza incontrovertibile.
È vero che la Cina è il Paese che emette più gas serra in questo momento, poco meno di un terzo delle emissioni mondiali, ma se andiamo a vedere la quota pro capite di emissione di CO₂ scopriamo che ogni cinese emette la metà della CO₂ emessa da ogni americano.
Se, quindi, prendiamo la classifica dei Paesi con il più alto impatto pro-capite di emissioni di CO₂ troviamo Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita a guidare il gruppo. Inoltre, questa è solamente la fotografia attuale, mentre per avere una visione corretta dovremmo calcolare la quantità di gas serra emessa da ogni Paese dalla rivoluzione industriale in poi. E la Cina di sicuro non è in cima all’elenco.
C’è chi prova a sostenere che possiamo continuare a emettere gas serra, spiegando che ai tempi dei dinosauri la CO₂ era più alta di oggi. È vero che milioni di anni fa il livello di CO₂ del pianeta era maggiore rispetto a oggi, ma è anche vero che con quel clima lo sviluppo di forme di vita come i mammiferi, e dunque l’uomo, non era possibile.
Inoltre, se prendiamo gli ultimi 2,5 milioni di anni, la CO₂ ha oscillato tra i 290 ppm e i 190 ppm, mentre oggi siamo a 420 ppm e il livello continua a salire.
Spesso si legge in articoli e report che abbiamo tempo fino al 2030 o al massimo fino al 2040 per invertire la tendenza in atto, poi inizierà il declino che porterà la Terra e l’umanità alla fine. In realtà, gli scienziati sono d’accordo sull’obiettivo di contenere l’aumento medio delle temperature al massimo di 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale, anche se sembra difficile poterlo raggiungere entro il 2030.
È più probabile che arriveremo a 2 gradi in più, con molti impatti negativi sull’aria e sugli ecosistemi, sia terrestri sia marini, ma non sarà la fine del pianeta. È sicuro però che maggiore sarà l’aumento della temperatura e più meccanismi irreversibili avremo attivato con i nostri comportamenti poco sostenibili.
Sarebbe bello se fosse vero, ma anche le piante hanno un limite alla CO₂ che possono assorbire. Anche oggi le piante riescono ad assorbire solo il 25% dell’anidride carbonica creata dalle abitudini umane, mentre il resto finisce ogni anno nell’atmosfera. Nemmeno gli animali potranno adattarsi rapidamente a un mutato scenario climatico: come ci dimostra la storia, ogni grande cambiamento climatico ha portato a estinzioni di massa.
Chi vuole screditare la ricerca scientifica se la prende con i modelli di previsione climatica sul lungo periodo. In realtà, già i primi modelli fisico-matematici degli Anni ’70 e ’80 erano affidabili: una recente ricerca ha analizzato 17 proiezioni di modelli divulgati tra il 1970 e il 2007 e gli studiosi hanno scoperto che 14 modelli su 17, oltre l’80%, hanno anticipato correttamente le temperature e l’impennata delle emissioni di gas serra. E con l’avanzamento tecnologico, oggi abbiamo sistemi di previsione molto più precisi e accurati.
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