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La popolazione mondiale continua ad aumentare. E si concentra sempre più nelle aree urbane. Gestire l'affollamento diventa un tema centrale per il traffico, l'inquinamento, i consumi, la sicurezza. Le città devono essere “smart”. Possono diventarlo grazie all'intelligenza artificiale e al “cibo” di cui si nutre: i dati. Ogni oggetto può diventare un avamposto capace di raccogliere informazioni, dialogare con altri dispositivi e dare linfa ad analisi capaci di migliorare processi e servizi. Si parla spesso di smart city e Big Data. Ma cosa significano nel concreto?
Ogni mezzo di trasporto (auto, bus, biciclette) può essere monitorato. Vuol dire individuare le aree e gli orari di massima congestione e i possibili percorsi alternativi. La risposta delle città potrebbe essere sia strategica che istantanea. L'analisi dei dati suggerirebbe la direzione che lo sviluppo urbanistico dovrebbe imboccare; indicherebbe il posizionamento migliore di fermate e stazioni (per una rete organica che intrecci diversi mezzi di trasporto, dal tram al bike sharing); favorirebbe un funzionamento più efficace dei semafori e consiglierebbe quali linee pubbliche rafforzare e quali alleggerire. Costruendo una “centrale operativa” i dati potrebbero poi dare una risposta in tempo reale: ogni automobilista, grazie a sistemi di navigazione sempre più evoluti, potrà ricevere informazioni su ingorghi e incidenti. Secondo il report del McKinsey Global Institute “Smart cities: Digital solutions for a more livable future”, adottare soluzioni intelligenti consentirebbe di tagliare i tempi di percorrenza del 15-20%. Cioè 15-30 minuti al giorno, dai due ai quattro giorni in meno all'anno passati nel traffico. E, meno tempo su strada, assieme a una gestione più efficace dei flussi, significa anche meno incidenti.
L'analisi dei Big Data può creare una mappa dei reati. Si identificano le aree più a rischio, al di là dei luoghi comuni. Capire dove si concentrano infrazioni e delitti non consentirebbe solo di concentrare le forze di polizia, ma indicherebbe metodi di prevenzione che possono essere (sempre con i dati) testati e corretti. L'abbinamento intelligenza artificiale-Big Data, infatti, non ha solo la capacità di scattare una fotografia dell'esistente. Attraverso modelli e algoritmi ha potere predittivo. Non ha la sfera di cristallo, ma è in grado di ipotizzare scenari futuri. Sempre secondo McKinsey, le smart city potrebbero tagliare rapine e aggressioni del 30-40%. Sicurezza, però, non significa solo meno reati. Vuol dire anche una più rapida capacità di intervento e di soccorso, da parte di volanti e ambulanze “guidate” da mappe intelligenti e semafori sincronizzati per far loro strada. I tempi di risposta potrebbe essere tagliati di un terzo. Efficienza e prevenzione avrebbero anche un altro vantaggio: tagliare i costi sanitari, ad esempio identificando e bloccando focolai di infezione.
Molti dispositivi che sono arrivati o stanno arrivando nelle nostre case lo fanno già: monitorano l'abitazione per capire quale elettrodomestico spreca di più e suggeriscono come migliorare il loro utilizzo. Immaginate adesso l'impatto di un sistema come questo in scala molto più grande. Le città possono raccogliere miliardi di dati sulle fonti di inquinamento e di spreco: edifici, trasporto, energia, gestione dei rifiuti. Ogni cosa può essere ottimizzata, perché non tutte le deviazioni dall'efficienza sono visibili a un occhio umano. Sensori e intelligenza artificiali sorvegliano produzioni di sostanze inquinanti, reti elettriche e idriche. Le città potrebbero ridurre del 10-15% le emissioni, far risparmiare ogni giorno 25-80 litri di acqua per ogni individuo e far produrre dai 30 ai 130 kg di rifiuti solidi in meno. Il vantaggio è doppio: per l'ambiente, ma anche per le casse di famiglie, imprese ed enti pubblici.
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