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La nuova direttiva europea sul copyright: le conseguenze per i Big del Web

Aprile 2019

Il 26 marzo il Parlamento europeo ha approvato la nuova diretta sul copyright con 348 voti a favore 274 contrari e 36 astenuti. Adesso dopo tre anni di contrattazioni il testo passerà al Consiglio e poi alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale per essere poi recepito entro due anni dai Paesi membri. E le grandi company della Rete da Google a Facebook sono già sulle barricate perché ci sono in gioco interessi ed equilibri importanti per definire il nuovo profilo di Internet.

Le norme nell’occhio del ciclone sono due articoli, il 15 e il 17. Il primo riguarda in particolare il diritto esclusivo degli editori di giornali di autorizzare o vietare la riproduzione e pubblicazione online dei contenuti di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione. Da parte loro, gli editori rivendicano il diritto di guadagnare dal loro lavoro, senza dover però rinunciare all’effetto moltiplicatore dei rimbalzi della diffusione su Internet. Dall’altra, i colossi del Web rifiutano ogni imposizione di autorizzazione preventiva per legge, che rallenterebbe meccanismi oleati da anni, oltre che intaccare un business consolidato.

Oggi Google e Facebook si spartiscono di fatto gran parte del mercato della pubblicità online (che in Europa vale 48 miliardi di euro l’anno) soprattutto grazie alla distribuzione dei contenuti altrui. Non è un caso che i grandi player abbiano investito in tecnologie e figure professionali per monitorare quanto viene prodotto online. Investimenti che ora si vedrebbero quindi vanificati, o semplicemente modificati. Non solo: alle piattaforme viene chiesto un intervento di monitoraggio dei contenuti pubblicati anche per verificare se sia in corso o meno una violazione delle regole, come la diretta della strage in Nuova Zelanda dimostra. Ma imporre questo passaggio in più per legge, dicono i big player del settore, rischia di stravolgere il funzionamento delle piattaforme, che si basano sulla produzione dei contenuti da parte degli utenti.

I giornali rientrano nell’articolo 15, che è stato ammorbidito rispetto alla versione iniziale. I grandi aggregatori di contenuti come Google News, che guadagnano grazie all’organizzazione delle notizie altrui, garantendo visibilità alle stesse, dovranno sempre pagare i diritti, a meno che non si tratti di «singole parole» ed «estratti molto brevi». Definizioni vaghe, che creeranno più di un problema. E la stessa vaghezza si trova nell’articolo 17 della direttiva, che rende le piattaforme responsabili di quanto viene caricato, senza però richiedere esplicitamente alcun monitoraggio preventivo. Per ospitare contenuti protetti dal copyright, Youtube e analoghi dovranno quindi accordarsi con i detentori dei diritti e soddisfare le loro richieste. Se non lo fanno, secondo l’ultima versione della direttiva devono dimostrare di aver compiuto «i massimi sforzi» per riuscirci e per evitare ulteriori caricamenti, agendo «tempestivamente» per rimuovere il materiale illecito.

Come Google News, Facebook e Youtube, a essere coinvolta nella direttiva è anche Wikipedia, che riporta stralci di articoli e indirizza alla fonte originale dei giornali. Ora dovranno tutti adeguarsi, trovando gli strumenti adatti per evitare di violare i diritti d’autore di etichette, produttori cinematografici ed editori. Strumenti che, d’altronde, già grandi piattaforme a pagamento come Netflix, ad esempio, utilizzano per evitare il “furto” di contenuti venduti per abbonamento. Il trucco sarà trovare un equilibrio tra la tutela della creatività e del diritto d’autore e la caratteristica fondante di Internet, che è quella di permettere a tutti di esprimersi liberamente. Evitando però la diffusione di contenuti illeciti. Ora la palla passa agli Stati membri, Italia inclusa.