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Abitudini e mercato sono due corde della stessa treccia: una rafforza l'altra. La transizione verso la mobilità elettrica non può passare solo da una maggiore sensibilità ambientale o dalle performance migliorate. È anche una questione di costi: la loro riduzione incentiverebbe i produttori, abbasserebbe il prezzo di vendita e, di conseguenza, renderebbe il passaggio all'elettrico più rapido.
Secondo uno studio di BloombergNEF commissionato dalla Ong Transport & Environment (T&E), realizzare un'auto elettrica sarà presto più economico rispetto allo stesso mezzo a benzina o diesel. Quanto presto? Entro il 2026 per berline (segmenti C e D) e Suv; entro il 2027 per le utilitarie (segmento B). I tempi sarebbero ancora più stretti per i mezzi commerciali leggeri, destinati a diventare più convenienti dal 2025, e per i furgoni più pesanti (entro il 2026).
L'accelerazione sarebbe dovuta a diversi fattori. La riduzione dei costi si deve a una progettazione e a linee di produzione pensate esclusivamente per la mobilità elettrica. Il mercato, sempre più solido, fa il resto: sapere che l'auto a emissioni zero è un'opzione concreta per sempre più clienti incentiva gli investimenti, spingendo il più classico circolo virtuoso. E così, se in un primo momento gli incentivi pubblici hanno giocato un ruolo cruciale, nei prossimi anni sarà il contenimento dei costi di produzione a comprimere i prezzi.
Secondo il report di BloombergNEF, auto e furgoni elettrici potrebbero rappresentare il 100% delle vendite europee entro il 2035. Senza la spinta della mano pubblica, però, la transizione sarebbe più lenta: le auto elettriche raggiungerebbero una quota di mercato dell'85% e gli e-van solo l'83% nell'UE entro il 2035.
Diventano quindi fondamentali le decisioni dei legislatori. Dovrebbero fissare limiti alle emissioni ancora più ambiziosi degli attuali e investire sulle infrastrutture di ricarica, in modo da rendere la rete più capillare. Nel caso degli e-van, che oggi rappresentano appena il 2% delle vendite, servirebbero maggiori incentivi ai produttori e standard sulle emissioni più stringenti.
Saranno cruciali la propensione all'acquisto dei clienti e i tempi con i quali l'Ue imporrà il divieto di vendite a benzina o diesel. Già diversi Paesi e case automobilistiche hanno annunciato il graduale addio ai combustibili fossili. Ventisette grandi imprese europee hanno chiesto all'Ue di fissare lo stop nel 2035, ma il 63% dei cittadini comunitari sarebbe favorevole ad anticiparlo al 2030.
Un cambiamento di mercato così profondo non può limitarsi a strade e concessionarie. Il primo effetto è chiaramente legato al clima: le elettriche inquinano meno e fanno quindi prevedere una riduzione delle emissioni dovute alla mobilità. Va però sottolineato che, con la crescita della domanda di energia elettrica, sarà ancora più importante capire come viene generata. Elettrico, infatti, non vuol dire sempre rinnovabile, visto che una quota consistente della produzione passa ancora da gas naturale, carbone e prodotti petroliferi.
Ci sarebbero poi ricadute evidenti sulle infrastrutture: le stazioni di servizio tradizionali continueranno a esserci, ma con sempre meno pompe e sempre più colonnine per la ricarica.
C'è infine un effetto collaterale meno visibile ai consumatori finali ma talmente ampio muovere la geopolitica globale: gli Stati verranno condizionati dalla necessità di reperire materie prime funzionali alla mobilità elettrica, come litio e cobalto. Così come i grandi produttori di petrolio, chi controlla le materie prime (la Cina ha una leadership assoluta) avrà un enorme potere di influenza.
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