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I predecessori.
Nel 1993 entrò in vigore il Trattato di Maastricht. Nel 1997 i Paesi della Ue adottarono delle regole per disciplinare le politiche di bilancio dopo l’introduzione della moneta unica, prevedendo che il disavanzo dovesse rientrare entro il 3% del Pil e che il debito dovesse restare entro il 60% del Pil, oltre a specifiche procedure nei casi di non osservanza. La sua inefficacia emerse però con la crisi finanziaria globale che coinvolse i debiti sovrani. Nel 2010 venne creato lo European Financial Stability Facility (EFSF). Nel 2011 poi il Patto di stabilità venne riformato. E si concordò che la nuova governance dell’Euro dovesse avere natura costituzionale. Dopo il rifiuto della Gran Bretagna di modificare con questo obiettivo il Trattato di Lisbona, si è deciso di stipulare un nuovo trattato. Nel 2012 i 17 Paesi che facevano parte dell’Eurozona più altri sette membri dell’Ue non appartenenti all’Eurozona hanno firmato il Fiscal Compact, con l’eccezione di Gran Bretagna e Repubblica Ceca.
Cosa prevede.
Si prevede che i Paesi contraenti mantengano un bilancio pubblico in pareggio o in avanzo, salvo circostanze eccezionali, con un disavanzo non superiore allo 0,5% del Pil. È stato inserito anche l’obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, già previsto da Maastricht. E per i Paesi con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60 per cento, è stato inserito l’obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo all’anno, per raggiungere quel rapporto considerato “sano” del 60%.
Il trattato ha stabilito che il pareggio di bilancio di ciascuno Stato venisse inserito in «disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale». In Italia è stato inserito nella Costituzione con una modifica dell’articolo 81 approvata nell’aprile 2012.