Panoramica: affari rischiosi
Benché i pianeti siano stati allineati a vantaggio degli attivi rischiosi per buona parte dello scorso decennio, lo scenario appare meno brillante per il prossimo anno. La fine degli stimoli monetari in buona parte del mondo, il dissolvimento dell’impulso fiscale negli Stati Uniti, le guerre commerciali, l’incertezza sull’Italia e sulla Brexit sono tutti fattori che assumeranno un ruolo determinante.
Il rallentamento della crescita economica e la contrazione dei margini societari offuscheranno in parte le prospettive per le azioni. Inoltre, considerando la crescita dei salari e il relativo impatto inflazionistico, anche per le obbligazioni non saranno giorni migliori: il credito, sia investiment grade che di categoria speculativa, pare particolarmente esposto ad una possibile correzione. D’altro canto, un’economia più debole potrebbe essere positiva per i Treasury USA indicizzati e a lunga scadenza e per l’oro, mentre il dollaro, al momento sopravvalutato, potrebbe perdere un po’ di terreno. In queste circostanze, la liquidità sembra destinata ad essere la classe di attivi più performante.
La nostra analisi del ciclo economico prevede l'attuazione dello stimolo fiscale negli Stati Uniti, rendimenti obbligazionari in crescita e, in linea con le attese del mercato, che la crescita economica subirà un rallentamento - previsione del 3.3% dal 3.5% del 2018. La pressione inflazionistica sottostante riprenderà a risalire, soprattutto nei mercati emergenti. Prevediamo un’inflazione globale dei prezzi al consumo al 3,0% dal 2,7% quest’anno, con l'inflazione dei salari già al massimo da 10 anni a questa parte in tutte le principali economie sviluppate. Un mix di crescita in rallentamento e inflazione in aumento è da sempre di cattivo auspicio sia per le obbligazioni che per le azioni, lasciando come migliore alternativa la liquidità.
Le banche centrali al di fuori della Cina chiuderanno gradualmente i rubinetti della liquidità nel corso del prossimo anno, esponendo i mercati al rischio di ulteriori bufere. Sebbene non si preveda un picco minimo dello stimolo monetario a livello mondiale prima della fine del 2019, una netta riduzione dei flussi netti – da 2600 miliardi di dollari nel 2017 a 140 miliardi – è destinata a lasciare un segno sugli attivi rischiosi. Per la prima volta dalla crisi finanziaria globale, escludendo la Cina, le banche centrali di tutto il mondo saranno venditrici nette di attivi finanziari2.
E data la supremazia del dollaro nel sistema finanziario globale, tutti gli occhi saranno puntati sulla decisione della Fed statunitense di operare un aumento dei tassi di tre quarti di punto, come previsto da noi e dalla maggior parte degli economisti. Infatti, tra i rischi che ci riguardano, una buona parte di essi sono legati ai tassi: un’impennata dell’inflazione statunitense costringerebbe la Fed a un atteggiamento più aggressivo e a un cambio di regime più netto, che sia un targeting dei prezzi degli attivi o una fissazione dei tassi basata su regole precise. Esiste poi un ulteriore rischio da considerare, ovvero che la critica esplicita del Presidente Donald Trump agli aumenti dei tassi operati dalla Fed produca un risultato controproducente, qualora stimolasse la banca centrale a dare prova di indipendenza assumendo una posizione sempre più aggressiva.
Le valutazioni azionare sono ampiamente neutre dopo una delle maggiori contrazioni dei multipli degli utili mai viste al di fuori dei periodi di recessione, ovvero il calo del rapporto price to earnings dell’indice MSCI US da 19,2x fino al minimo di 14,9x durante la disfatta dei mercati di ottobre.
Stimiamo una crescita degli utili societari globali di circa il 7% per il prossimo anno, un dato leggermente inferiore rispetto alle stime degli analisti, con i margini aziendali che verranno messi sotto pressione, innanzitutto a causa dell’aumento dei salari e dei maggiori costi di servizio del debito. Di conseguenza, prevediamo che l’indice MSCI World All Country World offrirà rendimenti totali tra trascurabili e nulli, con perdite sulle azioni statunitensi compensate da altri mercati.
Nel frattempo, le crescenti pressioni inflazionistiche e la riduzione degli acquisti di debito da parte delle banche centrali sono destinate a innalzare i rendimenti obbligazionari, soprattutto adesso che i salari stanno cancellare iniziando a rispondere a carenze di manodopera senza precedenti in tutte le principali economie. Anche le azioni saranno impattate da questa tendenza. Un aumento di 1 punto percentuale nei rendimenti obbligazionari statunitensi comporta una riduzione del valore equo dell’S&P 500 di circa il 20% sulla base dei nostri modelli di flussi di cassa scontati, sebbene per le valutazioni azionarie ciò che conta realmente è il divario tra i rendimenti obbligazionari reali e la crescita degli EPS a lungo termine. Riteniamo che un aumento dei rendimenti dei Treasury a 10 anni al di sopra del 3,5% inciderebbe in modo duplice sulle azioni. Da una parte, gli investitori sarebbero spinti a passare dalle azioni alle obbligazioni. Dall’altra, i crescenti rendimenti spingerebbero al rialzo i tassi d’interesse di mercato, colpendo i mutuatari e l’economia più in generale.
Per adesso, i nostri indicatori tecnici e del sentiment suggeriscono che l’assestamento del mercato a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi del 2018 sia ormai alle spalle. Sia la crescita globale che gli utili societari potrebbero aver raggiunto il loro massimo, ma non vi sono segnali di un'imminente flessione economica. Sebbene la curva globale dei rendimenti si sia invertita quest’anno, la recessione si verifica storicamente solo a uno o due anni di distanza. Di conseguenza, molti attivi rischiosi paiono ipervenduti, pronti a una brusca ripresa, soprattutto sulla scia di qualche buona notizia, che potrebbe essere un accordo commerciale tra USA e Cina, o indicazioni che la Fed stia decidendo di rallentare il restringimento della politica monetaria. In ogni caso, la ripresa delle azioni è limitata dalla prudenza degli investitori.