Dimentichiamo le recenti turbolenze di mercato, le obbligazioni dei mercati emergenti (ME) oggi sono in una posizione ottimale. Infatti, l'anno in corso potrebbe rivelarsi l'esatto contrario del 2018, che è stato un anno abbastanza complicato.
Questo giudizio positivo è riconducibile a due fattori. Innanzitutto, sebbene l'economia globale sia in rallentamento, le economie emergenti stanno andando relativamente meglio rispetto alle controparti sviluppate. In secondo luogo, i governi di tutto il mondo stanno attuando politiche mirate a stimolare la crescita. Storicamente, gli attivi dei mercati emergenti tendono a sovraperformare in entrambi questi contesti economici.
L'indicatore anticipatore mondiale, che si occupa di prevedere cosa potrebbe succedere alla crescita globale, ha registrato una brusca tendenza al ribasso dal picco del 2017. Ma, sebbene le previsioni si siano indebolite anche per i mercati emergenti, il grosso del rallentamento globale è riconducibile alle economie sviluppate.
La serie di rialzi dei tassi operata dalla Federal Reserve statunitense fino allo scorso dicembre, l'atteggiamento belligerante del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump riguardo al commercio mondiale, i cambiamenti nella domanda globale di automobili, oltre a problemi più legati a singoli Paesi come l'incertezza politica di Italia e Regno Unito, hanno fatto sì che le economie sviluppate scalassero una marcia.
Per contro, il grosso del rallentamento dei mercati emergenti si è concentrato in Turchia e Argentina – due Paesi che hanno sofferto ferite economiche autoinflitte.
Di conseguenza, il differenziale di crescita delle economie emergenti rispetto alle controparti sviluppate è aumentato considerevolmente lo scorso anno fino a raggiungere un divario che è adesso ai massimi dal 2013 (si veda il grafico).
È importante poiché in periodi in cui l'economia globale ha subito un rallentamento non uniforme, con le economie in via di sviluppo che hanno sovraperformato, le valute dei mercati emergenti si sono apprezzate sul dollaro – ad un ritmo dell'1,7% l'anno in media, secondo la nostra analisi.
Questa tendenza è ancora più accentuata per le valute dei mercati emergenti di Paesi in via di sviluppo di grandi dimensioni, come Cina, India, Corea, Russia e Brasile, per citarne alcuni. In media, queste valute hanno guadagnato il 4,7% l'anno sul dollaro, con le valute di America Latina e Europa dell'Est che tendono ad essere in testa.
Le valute dei mercati emergenti potrebbero anche beneficiare degli sviluppi in corso negli Stati Uniti.
La Fed ha tirato il freno a mano sulla politica di restringimento monetario. Non solo la Banca Centrale ha smesso di rialzare i tassi – crescono le aspettative secondo cui la prossima mossa sarà un taglio – ma ha anche messo prematuramente fine alla riduzione del bilancio. Questa svolta accomodante dovrebbe sostenere la crescita negli Stati Uniti più avanti nel corso dell'anno. Ma per adesso, potrebbe segnare la fine della forza inarrestabile del dollaro.
Al momento, le valute dei mercati emergenti sono prossime al valore di massima sottovalutazione rispetto al dollaro da almeno vent'anni a questa parte. Complessivamente, questi fattori dovrebbero contribuire a sospingere le valute dei mercati emergenti e, pertanto, le obbligazioni sovrane dei mercati emergenti denominate in valuta locale – in quanto una porzione importante del rendimento su questi titoli di debito tende ad essere trainata dai movimenti di cambio.
Non è solo la Fed ad avere iniziato a reagire al rallentamento globale. La Banca Centrale Europea sta riprendendo le operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine per le banche (TLTRO - targeted longer-term refinancing operation), nell'ottica di sostenere l'economia dell'eurozona, attualmente in arresto.
Ma ancora una volta, è la Cina la principale fonte di stimoli derivanti da una politica monetaria aggressiva. Con l'obiettivo di far ripartire i prestiti ai privati, infatti, la People’s Bank of China ha ridotto di cinque volte il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche nel corso del 2018; e ulteriori tagli sono previsti nei prossimi mesi. Contemporaneamente, il governo cinese ha bruscamente aumentato gli investimenti in infrastrutture, dopo averli tagliati nel 2018.
In termini più generali, le obbligazioni dei mercati emergenti dovrebbero essere sostenute da condizioni locali migliori. Politiche macroeconomiche prudenti e, soprattutto, la relativa aggressività delle banche centrali dei mercati emergenti suggeriscono che le economie dei mercati emergenti dovrebbero essere meno volatili rispetto al passato.
Nel frattempo, le tensioni commerciali globali al momento preoccupano forse meno di quanto non abbiano fatto in passato. Infatti, visto che le economie dei mercati emergenti sono diventate più ricche, sono anche meno dipendenti dalle esportazioni, essendo sostenute anche dalla domanda interna. E dato che Paesi come la Cina sono sempre più sviluppati, hanno anche aumentato il valore aggiunto della loro manifattura, con l'effetto di rendere ancora più domestiche le catene di approvvigionamento finora disseminate in diversi Paesi.
Ancora una volta, è la Cina la principale fonte di stimoli derivanti da una politica monetaria aggressiva.
Notiamo anche un notevole potenziale di rimbalzo nell'universo emergente, con l'attenuarsi delle tensioni commerciali.
Tra i Paesi emergenti, troviamo particolarmente interessante il Brasile, la cui agenda delle riforme varata dal nuovo governo ha contribuito a riportare l'attenzione sui fondamentali positivi del Paese. In effetti, apprezziamo l'America Latina in generale.
Per contro, le economie con grandi squilibri, non ultime Turchia e Argentina, sono destinate a rimanere vulnerabili a brusche correzioni.
Il quadro complessivo suggerisce, quindi, che dopo le turbolenze del 2018, molti Paesi dei mercati emergenti dovrebbero beneficiare della loro forza relativa rispetto ai Paesi sviluppati, insieme alle prospettive realistiche di una ripresa generalizzata più avanti nel corso dell'anno.
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