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La questione dei fondi obbligazionari a gestione passiva

I fondi obbligazionari a gestione passiva stanno guadagnando popolarità presso gli investitori soprattutto gli ETF. Il problema è che il reddito fisso non si presta facilmente all’indicizzazione.

È difficile trovare un investimento in apparenza più noioso di un fondo obbligazionario a gestione passiva. Nulla che faccia palpitare il cuore, penserete. Ma la realtà è ben diversa. Secondo le conclusioni di una recente relazione della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), i fondi destinati a replicare un indice a reddito fisso – come i veicoli negoziati in borsa – possono in effetti essere piuttosto rischiosi.

Il problema fondamentale è che le obbligazioni semplicemente non si prestano con facilità a forme di investimento passivo. Per parecchi motivi.

Innanzitutto, perché dato che la maggior parte degli indici obbligazionari è ponderata per la capitalizzazione, gli investitori passivi automaticamente ricercano titoli emessi dai governi e dalle aziende più indebitati. In questo modo, questi investitori si espongono maggiormente alle variazioni sfavorevoli del merito creditizio dei mutuatari rispetto agli investitori attivi, che possono sempre manifestare il loro dissenso.

A peggiorare le cose per i titolari di obbligazioni a gestione passiva, c’è il fatto che gli oneri finanziari per i governi e le società compresi negli indici di riferimento diminuiscono proporzionalmente all’aumentare degli attivi nei fondi indicizzati. Ciò, a sua volta, incentiva ancora di più le operazioni di indebitamento. Uno sviluppo che la BRI descrive come un rischio sistemico.

Avere una prospettiva chiara sul merito creditizio degli emittenti obbligazionari è difficile soprattutto per gli investitori che operano sugli indici obbligazionari. Quando nuove obbligazioni vengono inserite nell’indice di riferimento, la qualità creditizia dell’indice può a volte cambiare drasticamente. Il declassamento del rating di una grande società può incidere in modo significativo sul profilo di credito dell’intero indice di riferimento.

Ma il fatto di essere indifesi davanti ad un cambiamento improvviso del rating di un emittente obbligazionario non è l’unico campo minato che gli investitori passivi devono affrontare.

Esiste anche una debolezza strutturale degli ETF obbligazionari: una disparità a livello di liquidità.

In poche parole, il veicolo d’investimento è spesso più facile da acquistare e vendere - o più liquido - rispetto alle singole obbligazioni in cui investe.

In fasi di calma sui mercati e di normale funzionamento, questo non è un problema. Ma quando i mercati sono turbolenti – come nelle scorse settimane, con la diffusione del coronavirus – questa anomalia è potenzialmente destabilizzante. Di norma, il prezzo di un ETF e il valore patrimoniale netto (net asset value - NAV) degli investimenti sottostanti si muovono di pari passo. Quando un investitore vende un ETF obbligazionario, questo viene di norma acquistato da un intermediario di mercato.

L'intermediario a sua volta rivende l’ETF all’emittente del fondo in cambio delle obbligazioni sottostanti. Queste obbligazioni sono di norma rivendute sul mercato, lasciando il profitto all’intermediario.

Adesso, tuttavia, dato che i broker-dealer sono sempre più preoccupati del rating delle società durante la diffusione del coronavirus, sono meno interessati a concludere questo tipo di transazioni. Quando decidono di acquistare, lo fanno ad un prezzo molto inferiore.

Ciò, a sua volta, ha causato il crollo del prezzo degli ETF al di sotto del NAV delle obbligazioni di questi veicoli. Il divario in alcuni casi è arrivato all’11%.

Anche maggiori costi di negoziazione rendono più difficile l’investimento obbligazionario passivo. La rotazione che gli indici obbligazionari normalmente subiscono da un anno all’altro è notevole, di molto superiore a quella degli indici di riferimento azionari, e spazia dal 30 al 70%. Per gli indici delle obbligazioni high-yield, la rotazione può raggiungere anche il 90%. Replicare un indice obbligazionario pertanto richiede molte negoziazioni, con un conseguente aumento dei costi d’investimento. Questi costi sono stati stimati a circa lo 0,3% annuo per un indice obbligazionario aggregato. I costi per i titoli di debito con rating basso emessi da società o Paesi dei mercati emergenti possono essere sostanzialmente superiori. Questi costi di implementazione sono raramente presi in considerazione, eppure costituiscono un notevole svantaggio per i fondi obbligazionari indicizzati.

Infine, dato che gli indici obbligazionari regionali o globali possono comprendere fino a 5000 singoli titoli, l’indicizzazione si basa nella maggior parte delle volte sulla campionatura. Ma costruire un indice in questo modo spesso comporta l’utilizzo di sostituti. In altri termini, per compensare i diversi costi, i gestori dei fondi obbligazionari indicizzati spesso sostituiscono le obbligazioni di maggiore qualità ma minore rendimento con obbligazioni che presentano un rischio maggiore e minore qualità. Per questa ragione i fondi indicizzati spesso registrano flessioni più brusche rispetto agli indici di riferimento durante i picchi di turbolenza di mercato.

Pertanto, non c’è nulla di noioso nei fondi obbligazionari a gestione passiva. E non è una bella notizia.