Asset allocation: è il momento di lasciare il tavolo
Sul finire del 2018, sono molte le ragioni che inducono gli investitori a procedere con cautela. Nonostante il tono inaspettatamente accomodante del Presidente della Federal Reserve statunitense Jerome Powell di fine mese, non sono pochi i potenziali ostacoli sul cammino dei mercati finanziari. Comprendono tensioni commerciali globali, Brexit, e inquietudini politiche nell’eurozona dovute alla situazione italiana.
Allo stesso tempo, le previsioni per l’economia globale si sono rabbuiate, le condizioni della liquidità continuano a peggiorare e gli indicatori tecnici accendono la spia rossa per molte delle principali classi di attivi.
Vi sono ovviamente interessanti opportunità di investimento ancora da cogliere, soprattutto dopo la recente turbolenza di mercato. Ma, nel complesso, riteniamo che il mix di incertezza sul futuro e le difficili condizioni attuali giustifichino la nostra minore esposizione alle classi di attivi più rischiose. Abbiamo quindi deciso di ridurre la posizione azionaria portandola a neutra e abbiamo incrementato le obbligazioni portandole a una posizione neutra.
Rispetto al mese scorso, i nostri dati sul ciclo economico si sono deteriorati per Stati Uniti, Giappone e Svizzera. Gli indicatori anticipatori adesso mostrano valori neutrali o negativi praticamente ovunque. L’unica eccezione è la Cina, in cui lo stimolo del governo sta iniziando a manifestarsi attraverso maggiori spese per le infrastrutture e le vendite al dettaglio, automobili escluse, stanno tenendo bene.
Tuttavia complessivamente, a livello mondiale, il sentiment è ai livelli minimi degli ultimi due anni, secondo i dati di IHS Markit. Gli ultimi sondaggi descrivono un’economia mondiale in crescita di meno del 3% nel prossimo anno, il che suggerisce che le aspettative di consensus dovranno essere riviste al ribasso.
Una fonte particolare di preoccupazione è costituita dal settore immobiliare statunitense, la cui attività ha registrato un notevole rallentamento, con inflazione dei prezzi ai massimi livelli nel primo trimestre e tassi dei mutui a 30 anni cresciuti al 5% dal livello minimo di meno del 3,5% nel 2016.
In parte la colpa è riconducibile a una brusca contrazione della liquidità. Negli ultimi 12 mesi, il volume di credito reso disponibile dalle banche centrali e dalle banche private in percentuale del PIL nominale negli Stati Uniti, in Cina, nell’Eurozona, in Giappone e nel Regno Unito si è dimezzato raggiungendo un livello di appena l'8,3%1.
Per la prima volta dalla crisi finanziaria globale, prevediamo che le cinque principali banche centrali, complessivamente, liquideranno le loro posizioni sugli attivi finanziari accumulate durante il quantitative easing. E ciò produrrà un impatto negativo sul ciclo economico, soprattutto negli Stati Uniti, nei settori dell’economia più sensibili ai tassi, compresi gli investimenti aziendali.
Gli indicatori tecnici inducono ad una maggiore cautela, dipingendo un quadro particolarmente poco invitante per i settori azionari ciclici. Allo stesso tempo l’oro – un tradizionale bene rifugio – appare pesantemente ipervenduto, il che potrebbe accentuare i guadagni qualora gli investitori dovessero diventare più avversi al rischio.
Le valutazioni supportano la nostra posizione neutra sulle azioni globali, che adesso non paiono né particolarmente costose né convenienti: il rapporto price-to-earning a termine su 12 mesi per l'indice di riferimento MSCI ACWI è a un livello che riteniamo ragionevole di 13,7. Le obbligazioni rimangono costose nel complesso, nonostante nascondano nicchie di valore, soprattutto nel debito in valuta locale dei mercati emergenti.