Quando il commercio smette di funzionare, ci perdono tutti.
Quindi gli investitori dovrebbero prepararsi alle conseguenze del recente tira e molla nella disputa commerciale tra Cina e Stati Uniti, in cui Pechino ha annunciato tariffe di ritorsione in risposta alla mossa di Washington di aumentare i dazi su 200 miliardi di dollari di merci cinesi.
I nostri calcoli indicano che una guerra commerciale su larga scala tra la prima e la seconda economia al mondo ha il potenziale di far entrare l'economia globale in recessione e condurre ad un brusco crollo dei titoli mondiali.
Il nostro modello indica che se un dazio del 10% sul commercio statunitense fosse trasferito al consumatore, l'inflazione mondiale salirebbe di circa 0,7 punti percentuale.
Ciò, a sua volta, potrebbe diminuire gli utili societari del 2,5% e tagliare i price-to-earnings ratio delle azioni globali fino al 15%.
Tutto ciò significa che le azioni globali potrebbero perdere il 15-20%. Il che, in effetti, riporterebbe indietro di tre anni l'orologio del mercato azionario mondiale. I rendimenti delle obbligazioni statunitensi possono crollare, ma la portata della flessione sarà limitata per via di un impatto inflazionistico dovuto ai dazi.
Washington e Pechino potrebbero ancora raggiungere un accordo alla riunione di giugno del G-20. Ma se così non fosse, gli aumenti dei dazi previsti potrebbero causare sofferenza ad entrambe le economie: riteniamo che i provvedimenti commerciali esistenti potrebbero ridurre la crescita cinese dello 0,5% e quella degli Stati Uniti di circa lo 0,2%.
A peggiorare le cose, l'impatto di una guerra commerciale sarebbe percepito ben oltre i confini delle prime due potenze economiche mondiali. Economie aperte, come Singapore e Taiwan in Asia e Ungheria, Repubblica ceca e Irlanda in Europa sono potenzialmente più vulnerabili rispetto a Stati Uniti e Cina (si veda il grafico).
Per quanto riguarda i mercati azionari, Wall Street risentirebbe di più dell'intensificarsi della guerra commerciale rispetto ad altri mercati azionari, contrariamente al pensiero comune.
Perché gli Stati Uniti sono il mercato più costoso nel nostro modello di valutazione e la sua composizione settoriale è più sensibile alle variazioni delle condizioni economiche. In base al price-to-earnings ratio 2019, il mercato statunitense scambia a circa il 30% in più rispetto alle controparti di Europa, Giappone e mercati emergenti.
I titoli ciclici, e in particolare, i settori costosi come i beni di consumo voluttuari e i titoli IT, saranno probabilmente i più penalizzati, mentre anche le azioni degli esportatori cinesi dovrebbero subire una certa pressione.
Gli investitori non dovrebbero scommettere sul fatto che la Federal Reserve statunitense fornirà un ulteriore sostegno oltre a quanto già anticipato – i mercati finanziari hanno già scontato la prospettiva di un taglio dei tassi d’interesse di 25 punti base entro fine anno.
Il quadro che emerge dalla nostra analisi è analogo a quanto gli investitori hanno sperimentato in passato. La storia dei mercati finanziari indica che l'innalzamento di barriere commerciali è negativo per i mercati finanziari: l'S&P 500 ha perso il 10% in tre mesi dopo che il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon aveva imposto un dazio del 10% sulle importazioni a metà del 1971.
Come l'esperienza insegna in modo inequivocabile, nelle guerre commerciali non ci sono vincitori.
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