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Febbraio si è confermato un mese molto positivo per i mercati finanziari, con performance azionarie generose – 5% in America, 7,5% in Europa e 10% in Giappone – sostenute da fondamentali forti, specialmente negli Stati Uniti, e buoni risultati societari, in particolare nelle società della hi-tech. Le obbligazioni hanno corretto per le stesse ragioni macroeconomiche e per la conseguente retorica attendista dei banchieri centrali, senza però contagiare le asset class rischiose, come invece era accaduto in autunno. I rendimenti sul due anni americano, per esempio, sono saliti di circa mezzo punto e circa 35 punti base sul decennale; movimenti però in buona parte rientrati nelle prime settimane di marzo.
La compostezza dei mercati si deve anche alla seguente lettura delle nuove informazioni su ciclo e politica monetaria: da un lato la forza dell'economia è considerata in parte temporanea, dato che alcuni fattori di sostegno stanno esaurendosi nel corso dei prossimi mesi, dall'altro sia la FED che la BCE hanno di fatto confermato la disponibilità a inaugurare il ciclo ribassista dei tassi, anche se hanno chiesto altro tempo per iniziarlo, subordinandolo ad una maggiore convinzione sul processo di disinflazione. Questo viene in qualche modo ricondotto a una maggiore stabilizzazione dei salari e quindi del mercato del lavoro, che però sembra ormai in atto, forse in Europa anche una stabilizzazione dei profitti.
Insomma, i peggiori timori di stagflazione stile 2022 sembrano lontani e il mercato sembra ricalibrare perlopiù il timing dei tagli nei tassi di interesse. Per quest'anno, a oggi, se ne prezzano tre negli Stati Uniti, in linea con quanto ci ha detto la Federal Reserve a dicembre. Il rischio è che la FED abbassi a due le sue previsioni nella prossima riunione del 20 di marzo e quattro sono i tagli attesi invece da parte della BCE per quest'anno. Quindi il mercato si aspetta ormai il primo taglio a giugno da parte di entrambe le principali banche centrali. Tutt'al più, una questione di non facile interpretazione sarà definire il punto d'arrivo terminale, elemento che richiede la comprensione di quale economia ma anche di quale tecnologia e di quale geopolitica prenderà forma dopo che si poserà la polvere di questo ciclo economico post pandemico. Come ricordava Fabio nel video del mese scorso, abbiamo pochi dubbi sul fatto che stiamo superando la fase critica e pochi nel mercato mettono in dubbio il processo disinflattivo, abbracciando quindi lo scenario di soft landing.
I dubbi residui, invece, sembrano riguardare il punto di equilibrio dei tassi di interesse reali e nominali nel lungo periodo. Sul punto di atterraggio, il cosiddetto tasso neutrale, si avverte infatti un certo nervosismo nel dibattito interno delle banche centrali e tra gli economisti. Da un lato la grande spinta dell'innovazione tecnologica sulla produttività potrebbe portare a un valore più elevato dei tassi di interesse di lungo termine. In termini reali, cioè corretti per l'inflazione, attesa circa l’1% anziché lo 0,5% in America e qualcosa sopra lo zero in Europa. Le stime più recenti, pubblicate proprio in questi giorni da FED e altri centri studi, avvalorano questi livelli se non anche un po’ più alti. D'altro canto, alcuni, tra cui la Schnabel, banchiere centrale tedesco, osservano come l'Europa sia un passo indietro nell'adottare le misure di efficientamento della propria struttura produttiva e questa, assieme ad altri fattori, potrebbe risultare in un freno alla crescita potenziale e forse in una maggiore persistenza dell'inflazione, certamente, in un trade off più antagonistico tra margini di profitto e costi unitari del lavoro. Questi dubbi sugli equilibri e quindi sui tassi di lungo periodo continuano a giustificare una volatilità storicamente elevata nei tassi a lunga scadenza.
Cosa aspettarci le prossime settimane? Nella migliore delle ipotesi un trading range nelle obbligazioni o piccoli ulteriori cali nei rendimenti verso il 4% nel decennale americano il 2,25% nel Bund tedesco – questo se i dati sull'inflazione confermeranno il trend discendente. In questo caso, la performance azionaria potrebbe vedere un po’ di rotazione settoriale dalla tecnologia al resto degli indici e forse anche all’healthcare. In uno scenario meno propizio, non si può escludere una correzione un filo più pronunciata degli indici azionari, che dopotutto vengono da molte settimane di risalita, dai minimi di ottobre, il recupero delle borse dei paesi sviluppati va dal 20% europeo al 30% del Giappone, solo il 12% invece nei mercati emergenti. Ma in questo caso, le obbligazioni dovrebbero poter offrire un po’ di tutela al portafoglio e così pure il dollaro, dopo l'indebolimento recente a ridosso dell'1,10. In fondo, le correlazioni tra le due principali attività finanziarie, azioni e obbligazioni, mostrano segni di miglioramento, ovvero un andamento giornaliero più contrapposto, il che contribuisce non poco a stabilizzare un portafoglio multiasset. Segnale incoraggiante, ma per poter contare su una piena normalizzazione occorre lasciarsi alle spalle definitivamente questo ciclo economico particolare. Infine, Bitcoin e oro, protagonisti rispettivamente a febbraio marzo, rappresentano invece dei segnali appena preoccupanti che vi possa essere qualche eccesso di euforia. In ogni caso, le prospettive di performance nel medio termine, e quindi anche per l'anno in corso, restano promettenti, con rendimenti previsti tra il 5 e il 10% per le strategie bilanciate.
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