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L'articolo fa parte della rubrica Welcome to 2044 e deriva da un’analisi di scenario futuro realizzata dal Copenhagen Institute for Futures Studies. Per i sottoscrittori della nostra newsletter, è possibile scaricare l’intero documento originale (in inglese).
Nel mondo del 2044, le rinnovabili non sono più – da tempo - una nicchia: rappresentano un quarto della produzione totale di energia. Un bel salto rispetto al 2018, quando rappresentavano una quota del 4%. È aumentato anche il peso dell'idroelettrico, che però non ha avuto lo stesso progresso: è passato dal 7 al 9%. Stabile al 4% l'energia nucleare. La crescita delle rinnovabili ha in parte sostituito le fonti fossili, la cui quota è passata dall'85% al 67%. Un dato che può essere letto in un doppio verso: da una parte è chiara una forte diminuzione delle fonti più inquinanti; dall'altra è altrettanto evidente che rappresentano ancora le più utilizzate. Nel 2044, quindi, la transizione energetica procede. Ma non si è ancora compiuta.
L'espansione delle rinnovabili si traduce in una crescita del loro mercato. La Cina ne ha assunto la leadership, grazie a un rapido progresso tecnologico nel settore fotovoltaico, eolico e delle batterie. Merito degli investimenti in innovazione, ma anche della minore pressione degli azionisti: senza l'esigenza immediata di generare profitti, le imprese cinesi hanno potuto guardare a un orizzonte temporale più lungo. Pechino ha cavalcato l'onda delle rinnovabili anche appoggiandosi all'Africa, offrendo tecnologie climatiche ed energetiche in cambio di risorse naturali.
Nel 2044 le emissioni del settore agricolo rappresentano ancora una sfida importante. Sono state sì adottate misure per ridurre l'impronta sul clima, ma sono cresciute sia la popolazione mondiale che la domanda di cibo. Una richiesta che incentiva la trasformazione di zone forestali in terreni agricoli. Nel tentativo di arginare questa tendenza, le Ong internazionali acquistano terreni tropicali, ponendosi però in conflitto con gli agricoltori locali che spingono per ampliare le proprie fattorie.
I grandi produttori stanno comunque agendo, in modo stabile e continuativo, per limitare le emissioni e redistribuire i profitti in modo più equo tra industrie e agricoltori.
Diverse città promuovono, almeno da due decenni, la costruzione di edifici pubblici alimentati da rinnovabili e caratterizzati da spazi verdi che diano ossigeno alle aree urbane. Si è diffuso, anche se in modo disomogeneo, il sistema dei “crediti climatici”: i cittadini vengono premiati se seguono comportamenti più sostenibili.
L'impatto climatico si avverte anche osservando le migrazioni: è ormai una prassi parlare di rifugiati climatici, provenienti dalle aree che più hanno risentito degli stravolgimenti ambientali.
Questo scenario, nella quale ci sono sia luci che ombre, è però mobile. Quello che sarà nel 2044 dipende dalle decisioni che governi, imprese e cittadini prendono oggi. In un quadro più ottimistico, la quota delle rinnovabili potrebbe arrivare al 30%, con il nucleare al 7% e l'idroelettrico al 10%. La produzione energetica riconducibile ai combustibili si ridurrebbe quindi fino al 53%. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario che le tecnologie climatiche siano in cima all'agenda pubblica e che l'agricoltura riduca in modo significativo le emissioni.
Se imprese e governi si dimostrassero miopi e non adottassero misure adeguate, lo scenario potrebbe anche essere peggiore: nel 2044 i combustibili fossili potrebbero rappresentare ancora il 75% della produzione energetica. Questa proiezione si verificherebbe se non ci fosse un accordo globale, soffocato dal timore che i limiti alle emissioni riducano la competitività.
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