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L'Italia è, ormai da decenni, uno dei Paesi con il più alto debito pubblico al mondo, perlomeno in termini relativi. Si tratta del debito cumulato dallo Stato nei confronti di soggetti pubblici e privati.
Anno dopo anno, la pubblica amministrazione può registrare un avanzo o un disavanzo (cioè un deficit). In sostanza, nel primo caso incassa (tramite tasse e imposte) più di quanto speso (per far funzionare la macchina statale e per ripagare il debito tramite obbligazioni). Nel secondo, l'equilibrio è invertito.
In termini assoluti, l'ultima rilevazione di Bankitalia fissa lo stock complessivo a 2.790 miliardi di euro. Per capire quanto questa cifra pesi sull'economia, va però fatto un confronto relativo con il Prodotto Interno Lordo. Secondo l'Eurostat, nel periodo tra ottobre e dicembre del 2022, il rapporto debito-PIL in Italia è stato del 144%.
Partiamo da una differenza importante: deficit e debito pubblico non sono sinonimi. Il primo indica (in rapporto al Prodotto Interno Lordo) il disavanzo di uno Stato in un periodo definito. Il rapporto deficit-PIL dell’ultimo anno pre-pandemia è stato dell’1,6% (particolarmente basso per l’Italia). Con il Covid-19, secondo Eurostat, nel 2022 ha raggiunto l’8%.
Anno dopo anno, deficit dopo deficit, il disavanzo si accumula in uno stock complessivo: il debito pubblico (o, più precisamente, delle pubbliche amministrazioni). In termini assoluti, secondo l'ultima rilevazione di Bankitalia, è di 2.790 miliardi di euro. Per capire quanto questa cifra pesi sull'economia va però fatto - come sempre - un confronto relativo, con il Prodotto Interno Lordo. Secondo Eurostat, nel periodo tra ottobre e dicembre del 2022, il rapporto debito-PIL in Italia è stato del 144%.
Come emerge dai dati precedenti, il rapporto deficit-Pil e, di conseguenza, quello debito-PIL tendono ad aumentare nei momenti di crisi. In parte per la contrazione del Prodotto Interno Lordo e in parte perché – per tamponare le difficoltà economiche – lo Stato tende ad espandere la spesa pubblica. Crescerà quindi la probabilità di generare un disavanzo e, di conseguenza, un aumento del debito.
È questo il motivo per cui i Paesi europei si sono accordati per seguire il Patto di Stabilità, un accordo che vincola al rispetto di alcuni parametri, tra i quali il divieto di sforare un deficit che superi il 3% del PIL. Attualmente il Patto è stato sospeso, per permettere agli Stati di gestire in modo più flessibile l'emergenza Covid e quella energetica, anche grazie a una maggiore spesa pubblica.
Dopo la fase più acuta della pandemia, il debito pubblico ha dovuto affrontare un nuovo scenario, caratterizzato da elevata inflazione e, soprattutto in questo 2023, crescita modesta. Il debito si è trovato così “in equilibrio” tra due spinte contrapposte. La stretta monetaria della BCE ha fatto lievitare gli interessi dei titoli di Stato. I “costi” del debito, di conseguenza, sono aumentati e l'Italia spenderà di più per ripagare le obbligazioni emesse. Dall'altra parte, l'inflazione erode lo stock di debito. Ecco perché, prevede il Centro Studi di Confindustria, il rapporto debito-PIL calerà quest'anno al 142,9%.
L'effetto inflazione, però, spiega il Centro Studi, tenderà ad affievolirsi e, con la crescita al rallentatore, si rischia un nuovo aumento nel 2024, al 143,4%. Si tratta di una stima peggiorativa rispetto a quella del Governo che, nella Nota di aggiornamento al DEF, ha ipotizzato un rapporto debito-PIL in discesa anche il prossimo anno, al 142,3%.
Per ipotizzare quale sarà l'andamento del debito italiano, non si può ignorare il comportamento delle istituzioni europee. La BCE ha già avviato un ridimensionamento degli acquisti dei titoli di Stato, capace - nei momenti più complicati - di limitare speculazioni che avrebbero potuto portare il costo del debito a livelli insostenibili.
Ci sarà poi, probabilmente nel 2024, il ritorno del Patto di Stabilità. L'Europa, dopo l'allargamento dei vincoli durante e dopo la pandemia, tornerà a pretendere rigore. La Commissione Europea, nelle sue consuete raccomandazioni di primavera, ha già rimproverato l'Italia, sottolineando “vulnerabilità legate all’elevato debito pubblico e alla debole crescita della produttività”.
Se si guarda al saldo primario – cioè alla differenza tra entrate e uscite nelle casse pubbliche al netto delle spese per interessi – l'Italia è da anni tra i Paesi più virtuosi. E anche guardando all’immediata pre-pandemia, il deficit non era eccessivo. Le ultime stime del governo, contenute nel Documento di Economia e Finanza (DEF) prevedono però un disavanzo pari al 4,5% del PIL per quest’anno e “oltre il 3%” per il prossimo. È in corso, quindi, una sorta di “rientro” attorno ai limiti europei, dopo le briglie più sciolte necessarie per superare la pandemia. Il debito è però talmente consistente che, secondo la Commissione, evitare di produrre deficit eccessivo non basta. Serve “un aumento medio annuo del saldo primario strutturale in percentuale del PIL di 0,85 punti percentuali”. Solo così sarà possibile “conseguire una riduzione plausibile del debito o garantire che il debito pubblico sia mantenuto a livelli prudenti nel medio termine”. Le strade per raggiungere questo obiettivo sono due: incassare di più o spendere di meno. In altre parole: o una forte crescita (al momento poco probabile) o una nuova fase di austerità.
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