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Un anno fa, nell'arco di pochi giorni, imprese e pubbliche amministrazioni sono state costrette ad adottare il lavoro da remoto per assicurare la continuità operativa e limitare i contagi: nel lockdown partito nel marzo 2020, 6,5 milioni di persone sono così passate dall'ufficio alla casa, con il proprio pc o con quello aziendale. Le restrizioni sono andate e tornate, ma il nuovo assetto del lavoro è stata una costante, destinata a rimanere anche nel post-pandemia.
Secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, superata l'emergenza, 5 milioni di lavoratori continueranno a operare da remoto per almeno tre giorni a settimana. Un balzo enorme se si considera che nel 2019 erano appena 570 mila. Bastano questi numeri per capire rapidità e potenzialità del cambiamento, che oggi si pone un altro obiettivo: trasformare il remote working (cioè il lavoro fuori dall'ufficio) in smart working (il lavoro agile, che richiede una nuova organizzazione e avrebbe ricadute ancora più consistenti).
Tra ingressi scaglionati in ufficio e riordino delle postazioni, gli interventi delle imprese sono stati spesso d'emergenza, provvisori. Si va verso una loro stabilizzazione, che passa dallo studio di nuovi assetti e potrebbe avere un impatto in diversi campi.
Lo smart working richiede, tanto per cominciare, una maggiore dotazione di hardware, software, connettività, punti di accesso sicuri. Non si può quindi prescindere da una rapida evoluzione tecnologica, accompagnata da infrastrutture a prova di attacchi informatici. Secondo l'Osservatorio del Politecnico, il 36% delle grandi aziende modificherà l'organizzazione dello smart working investendo sulla digitalizzazione.
Sempre secondo l'Osservatorio dell'università milanese, una grande impresa su due afferma di voler riprogettare i propri spazi fisici dopo la pandemia. Con quali effetti? Ha provato a immaginarli Banca d'Italia in un intervento firmato dal capo del Dipartimento immobili e appalti Luigi Donato. Da una parte si fa strada l'home working (il lavoro da casa); dall'altra lo smart office (la conversione degli uffici in chiave agile).
“Emerge – afferma Donato – una nuova filosofia e una nuova configurazione degli spazi per uffici”. La postazione fissa e tradizionale cede a una maggiore rotazione, nella quale la presenza in ufficio si alterna al lavoro casalingo. E allora, si chiede Bankitalia, “Che senso avranno uffici in larga misura vuoti, a fronte di una spesa ormai sovradimensionata?”. In breve: basteranno spazi più esigui e, di conseguenza, costi di locazione ridotti. Anche i lavoratori, non più obbligati a raggiungere l'ufficio ogni giorno, potrebbero optare per soluzioni abitative più lontane dalla sede aziendale, meno centrali ma dotate di spazi dedicati allo smart working.
La trasformazione dell'ufficio, però, non è solo questione di spazio. Secondo Bankitalia, si affermerà “il paradigma dello smart office”, con una struttura e un'organizzazione più evolute. Per il settore immobiliare ci sono almeno due conseguenze. La prima: la riduzione degli spazi per uffici sarà “moderata dall’esigenza di una loro più moderna e funzionale configurazione”. Tradotto: anche se servirà meno spazio per le scrivanie, serviranno nuovi ambienti per un ambiente più vivibile. La seconda: “La riorganizzazione degli spazi e degli arredi si presenta una preziosa occasione di sviluppo da cogliere puntando sull’innovazione”. L'esigenza accelera il cambiamento.
Il funzionamento dell’ufficio smart riguarda anche “controllo degli accessi, pulizie, servizi di bar e di mensa, mobilità aziendale, supporto sanitario ai dipendenti”. Potrebbe cambiare anche la composizione dei consumi: meno cibo acquistato in locali esterni, più cucina casalinga. Maggiori consumi elettrici e di servizi legati alla permanenza tra le mura domestiche, come una connettività più efficiente. Senza dimenticare la possibilità di ricorrere a spazi quali i co-working. Cambiamenti di grande portata che hanno solo abbozzato il loro impatto durante la pandemia.
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