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Macroeconomia

Brexit: a che punto siamo e quali sono gli scenari

Aprile 2019

Il primo ministro Theresa May è sempre più debole. La soluzione più probabile sembra una nuova proroga più lunga. Che però potrebbe avere ripercussioni sulle prossime elezioni europee.

La Brexit avanza a vista. Il primo ministro Theresa May è impegnato in una doppia negoziazione: da una parte il fronte interno, con il Parlamento contrario all'accordo raggiunto con Bruxelles; dall'altra l'Ue, che non gradisce lo stallo Londra ed è in una posizione di forza.

Le tappe della Brexit

Il primo accordo era stato raggiunto alla fine del 2018. Ma l'11 dicembre, il parlamento britannico ha detto il suo primo “no” a un pacchetto composto da condizioni-base e intese politiche. Il 12 marzo, il parlamento britannico ha rigettato nuovamente l’accordo che il primo ministro aveva siglato con Bruxelles. E il giorno successivo ha rifiutato l’uscita dall’Unione Europea senza accordo (il cosiddetto no-deal), mettendo di fatto May in un vicolo cieco. Il primo ministro ha allora provato a valutare nuove opzioni. Ha rimesso il proprio mandato e ha teso la mano ai laburisti, incontrando Jeremy Corbyn. May si è ripresentata davanti al parlamento il 29 marzo, proprio nel giorno in cui la Brexit sarebbe dovuta diventare realtà. E ha ricevuto il terzo schiaffo: un altro no agli accordi. I leader europei hanno allora concesso altro tempo per cercare la quadra: il 12 aprile data ultima per l'approvazione e il 22 maggio (alla vigilia delle elezioni europee) per l'attuazione. 

Verso una nuova proroga

Lunedì 8 aprile il parlamento britannico ha approvato un emendamento alla legge sull’uscita del Regno Unito dall’Ue che impone a Theresa May di chiedere un rinvio della Brexit. Di fatto, era una strada obbligata per evitare un rischioso no-deal. Ma, come atto politico, indebolisce la già precaria posizione del primo ministro. A questo punto, con Londra incapace di organizzare un'uscita ordinata, May torna a guardare Bruxelles. Il suo obiettivo sarebbe una proroga breve, al 30 giugno, da usare come leva per raggiungere un accordo in parlamento. Macron (fino a ora il più intransigente), Juncker e Merkel puntano al 31 dicembre. Con la cancelliera tedesca che non esclude un rinvio più flessibile che potrebbe prolungarsi fino al 2020. Comunque vada, la matassa si è già intrecciata e potrebbe avere ripercussioni sulla composizione del parlamento europeo. Andando oltre il 22 maggio, il Regno Unito potrebbe dover votare i propri rappresentanti. I suoi seggi, però, in vista dell'uscita, sono già stati redistribuiti tra gli altri Paesi membri. Un problema nel problema.