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Sostenibilità ambientale

La Cina e gli investimenti sulle energie fossili

Novembre 2021

Nella prima metà dell’anno, il Governo cinese ha approvato la costruzione di 43 centrali elettriche a carbone nei confini nazionali. Ma è anche il primo produttore al mondo di energia verde.

Per vincere la sfida dei cambiamenti climatici, il mondo ha bisogno degli impegni concreti del primo inquinatore del Pianeta, ovvero la Cina. Ma nonostante gli impegni a ridurre progressivamente le emissioni di CO2, dalla COP26 di Glasgow non sono arrivate da Pechino date certe sull’addio al carbone. Anzi.

I risultati della COP 26

Nel documento finale della conferenza sul clima, emerge la volontà di una accelerazione, seppur diluita, nella dismissione dei combustibili fossili. In particolare, per la prima volta viene inserito un riferimento esplicito alla riduzione del carbone, le cui emissioni rappresentano quasi il 40% della CO2 emessa su scala globale. Anche se nella sessione finale l’India ha ottenuto un “alleggerimento” del testo, inserendo il concetto di “riduzione graduale” al posto della “eliminazione graduale”, e senza indicare una data precisa.

 

Ma sempre durante la conferenza di Glasgow, oltre 40 Paesi hanno anche siglato il “Global Coal to Clean Power Tranistion Statement” per uscire dal carbone tra il 2030, data valida per i Paesi più industrializzati, e il 2040, per gli emergenti.

 

I firmatari per la prima volta si sono impegnati a eliminare il carbone e a non costruire più nuove centrali sia nei confini nazionali che a livello internazionale. Ma tra le firme mancano quelle dei più grandi utilizzatori di carbone al mondo, ovvero Stati Uniti, Cina, India e Australia.

Gli investimenti cinesi nelle energie fossili

A settembre 2021, il presidente cinese Xi Jinping ha affermato che Pechino non avrebbe più finanziato la costruzione di nuove centrali a carbone in Paesi esteri, senza però specificare come si sarebbe comportata la Cina sul fronte interno.

 

Secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air, nella prima metà dell’anno il Governo cinese ha approvato la costruzione di 18 altiforni per la produzione di acciaio e 43 centrali elettriche a carbone nei confini nazionali.

 

Il presidente Xi Jinping assicura che il picco delle emissioni sarà raggiunto prima del 2030, dandosi come orizzonte altri 30 anni, il 2060, per raggiungere la neutralità carbonica.

 

Ma secondo l’analisi di Carbon Tracker, è proprio Pechino a guidare ancora il gruppo asiatico (oltre alla Cina, ci sono India, Indonesia, Giappone e Vietnam) degli irriducibili dei combustibili fossili che mettono a rischio gli obiettivi di contenimento dei cambiamenti climatici stabiliti dagli Accordi di Parigi.

 

La Cina, secondo il rapporto, è ad oggi il principale investitore mondiale sul carbone. E nei piani di Pechino c’è l’incremento delle centrali elettriche a carbone, che oggi producono 1.100 gigawatt, per aggiungere altri 187 gigawatt nei prossimi anni.

Il paradosso cinese

Eppure, il rapporto di Carbon Tracker afferma che i parchi solari ed eolici cinesi potrebbero già generare elettricità con un prezzo dell’86% più basso rispetto alle centrali a carbone esistenti nel Paese e che entro il 2024 le energie rinnovabili saranno in grado di competere con tutta l’energia a carbone.

 

È qui che sta la contraddizione cinese. Pechino sta finanziando sempre più investimenti per produrre energia pulita e alimentare le grandi metropoli fortemente inquinate. E se è il primo Paese al mondo per emissioni, è anche il primo nella produzione di energia verde con 530 Giga Watt di capacità già installata e l’obiettivo di arrivare a 1.200 Giga Watt entro il 2030.

 

La Cina genera più energia solare di qualsiasi altro Paese e le nuove centrali eoliche sono state nel 2020 il triplo di quelle costruite in qualsiasi altra nazione. Ma considerato il ruolo che gli impianti a carbone hanno avuto nella spaventosa crescita economica del Dragone degli ultimi 40 anni, abbandonarlo del tutto in tempi brevi sembra un’impresa titanica. Da qui al 2050 il 90% della sua produzione energetica dovrebbe derivare dalle rinnovabili e dal nucleare, hanno stimato i ricercatori dell’università Tsinghua di Pechino. Oggi siamo soltanto al 15%.

Il patto tra Cina e USA

Ma da Glasgow è arrivato a sorpresa un altro elemento, ovvero la dichiarazione congiunta sul clima sottoscritta da Cina e Stati Uniti. I due competitor globali, divisi su ogni fronte, si sono impegnati a creare un gruppo di lavoro bilaterale che si riunirà a partire dalla metà del 2022 per “potenziare l’azione sul clima” nel decennio in corso.

 

In base al documento, la Cina inizierà a ridurre gradualmente il consumo di carbone a partire dal 2026 e taglierà le emissioni di metano, secondo solo all’anidride carbonica per l’impatto sull’effetto serra.