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Ogni scelta ha un impatto sull’ambiente: in che modo ci muoviamo, cosa mangiamo, cosa indossiamo. La moda è, infatti, tra i settori che inquinano di più. Qualcosa, però, sta cambiando, grazie a una nuova sensibilità dei consumatori e delle imprese, che si stanno trasformando per abbracciare nuove opportunità. La transizione verso il green fashion, infatti, offre prospettive economiche interessanti e costi relativamente bassi rispetto ad altri comparti.
Secondo il rapporto “Fashion on Climate. How the fashion industry can urgently act to reduce its greenhouse gas emissions” di McKinsey, il settore moda emette 2,1 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, pari al 4% del totale. Per avere un’idea più precisa: è la stessa quantità di anidride carbonica prodotta da Francia, Germania e Regno Unito unite.
Il settore richiede infatti un uso intenso di materie prime, energie e acqua. Le Nazioni Unite stimano che il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali sia imputabile alla produzione di abiti. Senza dimenticare che la sostenibilità riguarda anche l’impatto sociale: la filiera, infatti, occupa spesso lavoratori molto giovani e sottopagati.
Distorsioni, sia ambientali che sociali, che si accentuano con il ricorso al cosiddetto fast fashion: la moda a prezzi bassi e qualità scadente incentiva un consumo rapido e lineare. Si acquista un capo, lo si usa poche volte e lo si getta.
La sfida riguarda quindi più fronti: una maggiore efficienza lungo tutta la filiera, materiali e sistemi che limitino gli sprechi, una produzione che rispetti i diritti dei lavoratori e lo sviluppo di un modello di produzione e consumo circolare, che promuova i capi di qualità (destinati a durare), la riparazione, il riuso e il riciclo.
La trasformazione è profonda, ma – spiega il report McKinsey – le azioni richieste hanno dei costi tutto sommato contenuti e dei vantaggi economici notevoli. Secondo PWC Italia, il mercato della moda sostenibile nel 2022 valeva 5,2 miliardi a livello globale e raggiungerà i 6,8 miliardi di euro nel 2023 e i 12,5 miliardi di euro nel 2030.
Un mercato trainato dagli investimenti, dalle nuove tecnologie e dai consumatori. Secondo il rapporto “How Brands Can Embrace the Sustainable Fashion Opportunity” di Bain & Company e WWF Italia, il 65% dei consumatori dichiara di avere a cuore l’ambiente, ma solo il 15% prende costantemente decisioni di acquisto mirate aridurre il proprio impatto ambientale. C’è quindi un grande potenziale, che è destinato a tradursi, nel giro di pochi anni, in una percentuale molto più alta, attorno al 50%.
Oltre alla spinta dei governi e agli obiettivi sostenibili dell’ONU, le imprese si stanno coalizzando per unirei propri sforzi e proporre soluzioni produttivepiù green. Sono nate così iniziative come la Carta per l'Azione Climatica dell'Industria della Moda, Sustainable Apparel Coalition, Textile Exchange e Fashion Pact.
Il presente materiale di marketing è emesso da Pictet Asset Management (Europe) S.A. Esso non è indirizzato a, e non è concepito per la distribuzione a o l’utilizzo da parte di, qualsiasi persona o entità avente cittadinanza, residenza o ubicazione in qualsiasi località, Stato, Paese o giurisdizione in cui tale distribuzione, pubblicazione, messa a disposizione o utilizzo sono in contrasto con norme di legge o regolamentari. Prima di effettuare qualsiasi investimento, è necessario leggere l’ultimo prospetto del fondo, del modello precontrattuale se applicabile, del Documento contenente le informazioni chiave, il bilancio annuale e la relazione semestrale. Questi documenti sono disponibili gratuitamente in inglese sul sito www.assetmanagement.pictet, o in forma cartacea presso Pictet Asset Management (Europe) S.A., 6B, rue du Fort Niedergruenewald, L-2226 Lussemburgo, o presso l’ufficio dell’agente locale, del distributore o dell’eventuale agente di centralizzazione del fondo.
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