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Il mese di gennaio è stato ricco di eventi. Per gli italiani sarà ricordato per la rielezione di Mattarella, unico caso dopo Napolitano di qualche anno fa. Per i mercati finanziari invece sarà ricordato per il voltafaccia delle Banche Centrali.
I dati macroeconomici registrano qualche attenuazione nel ritmo di attività, verosimilmente legata alla presenza della variante Omicron sul finire dell'anno scorso. Il COVID-19 sembra essere entrato ormai in una fase endemica e quindi sono state riviste solo marginalmente le previsioni di crescita per tener conto del minor scatto alla partenza del 2022.
I dati di inflazione sono invece ostinatamente elevati sia in America, dove stanno al 7% a livello headline e al 5,5% a livello core, che in Eurozona dove sono rispettivamente al 5,1% e al 2,3%. Negli Stati Uniti, i salari danno qualche segno di tensione, dove il mercato del lavoro è molto prossimo alla piena occupazione. I Farm Payrolls di gennaio, certamente molto forti, mostrano un bene augurante recupero della forza lavoro, con il tasso di partecipazione al 62,2, circa 3decimali meglio di dicembre. Non a caso il tasso di disoccupazione è risalito al 4%, poco al di sopra di dov'era a dicembre. Questa, a parità di altre condizioni, è una buona notizia finché la dinamica di crescita non si traduca in inflazione insostenibile nel medio termine.
La disputa tra coloro che ritengono l'inflazione un fenomeno temporaneo e coloro che la ritengono strutturale rimane più aperta che mai, ma il suo esito è incerto fino a quando non si sarà posata la polvere di questo ciclo accelerato e anomalo indotto dalla pandemia. Nel frattempo, però è chiaro che le Banche Centrali dei Paesi sviluppati hanno rotto gli indugi e in rapida successione hanno abbandonato la retorica attendista, imboccando la scorciatoia verso l'uscita dalle politiche accomodanti. La Fed, oltre a finire il Quantitative Easing, paventa l'inizio Thightening entro l’anno, cioè il ritiro della liquidità.
L'economia europea non giustificava la stessa aggressività della Fed. Eppure, la BCE non esclude un termine anticipato del Quantitative Easing, oltre al PEPP che era inaugurato con la pandemia. Quindi anche l’APP, cioè le misure straordinarie nate con la pandemia, potrebbero terminare entro l'anno anziché essere protratti until necessary. Anche i rialzi potrebbero a questo punto essere anticipati. Il mercato inaugura dunque il gioco all'inseguimento dei previsori, che si surclassano a vicenda, e prezza ora 50 basis point di rialzo.
Il voltafaccia delle Banche Centrali si è tradotto in aspettative di rialzi ben sopra le ultime previsioni e in curve di rendimenti molto più piatte. Ciò significa che tutto il danno si è percepito sulla parte iniziale delle curve di riempimento.
Questo dice che i timori si potrebbero spostare verso il danno alla crescita, cioè il policy mistake. La modalità poco ortodossa degli annunci pare un pessimo esempio di comunicazione delle Banche Centrali. Questo crea effetti restrittivi ma la volatilità creata dai cambi di marcia repentini non sembra giustificata dai mandati delle Banche Centrali. Al contrario queste dovrebbero occuparsi di stabilità finanziaria e l’Europa in particolare dovrebbe evitare la frammentazione tra Paesi.
Il Btp a 160 punti base, cioè 35 punti base in più di spread sul Bund rispetto a fine gennaio, è balzato in poche sedute a un livello che si riteneva di Fair Value in base alla condizione del debito pubblico relativo di Italia e Germania. Da allora il debito è peggiorato dappertutto, mentre la sostenibilità finanziare è largamente migliorata. Questo perché il tasso di interesse pagato sul debito è oggi mediamente il 2,5% ed è ancora in calo.
Il danno che si vede nel mercato rivela che lo shock si scontra con il posizionamento sbagliato in un mercato abbastanza sottile. La BCE potrebbe intervenire con la residua autonomia di intervento sotto il PEPP.
Gli spread di credito invece si sono mossi di una quindicina di business point solamente sull'investment grade, sia in America che in Europa. I corporate bond rimangono un'asset class a rischio di fronte al nuovo regime di maggiore volatilità e di floor, cioè di pavimento ai tassi reali, sono invece in questo momento messi sotto pressione verso l'alto dalle Banche Centrali.
I mercati azionari in questo quadro hanno retto complessivamente bene questo urto, pur con una forte dispersione settoriale. Finanziari ed energia sono tendenzialmente i favoriti, tecnologia e utilities invece i più colpiti. La stagione degli utili è stata buona con qualche piccola defaillance sul fronte dei margini. I mercati emergenti sono particolarmente resistenti a riprova del fatto che la sottoperformance del 2021 offre un cuscinetto protettivo. Avendo già scontato le politiche monetarie meno accomodanti, forse Paesi emergenti sono meglio in grado di affrontare questa fase di turbolenza dei mercati sviluppati.
Il venir meno del grande sostegno finanziario fornito nel 2021 era perfettamente messo a fuoco nello scenario per quest'anno, non lo era però la comunicazione farraginosa delle Banche Centrali che hanno precipitato e amplificato gli effetti nefasti della restrizione di liquidità in queste prime settimane dell’anno. È possibile che il sentiero di aggiustamento dei tassi sia incorporato nei prezzi, il mercato potrebbe essere almeno in parte immunizzato rispetto ad altre cattive notizie. La vera risposta ai dubbi, anche tra i banchieri centrali in merito l'evoluzione dell'inflazione si potrà avere solo tra qualche trimestre.
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