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Ottobre movimentato, soprattutto in Italia e in Europa, tra passaggi di consegne e inedite tensioni commerciali con la Casa Bianca. E con quello che ormai è diventato un classico dei cinque punti del mese: prosegue senza certezze la Brexit.
A Francoforte si chiude l'era Draghi, iniziata il primo novembre 2011. Otto anni attraversati (e chiusi) nel nome del Quantitative Easing, la linea scelta per sopperire alla crisi e spingere la liquidità. Il mandato scade con la fine di ottobre, ma dopo l'ultima riunione presieduta e l'avvicendamento con Christine Lagarde, Draghi ha già, di fatto, passato le consegne. Nelle sue ultime uscite, ha difeso – con sobrietà – le proprie scelte. Compresa quella, annunciata a settembre, di far ripartire gli acquisti il 10 novembre.
Entro il 31 ottobre si sarebbe dovuta risolvere la Brexit. E invece nulla. Nuova proroga di tre mesi, elezioni prima di Natale e l'ombra del no-deal che ancora incombe. È stato un mese agitato, iniziato con la sospensione del parlamento britannico (fino al 14 ottobre) e passato per un accordo tra il primo ministro Boris Johnson e Bruxelles, pochi giorni dopo. Sembrava la soluzione in extremis. Invece il parlamento non ha accettato l'intesa, rimescolando (per l'ennesima volta) le carte.
Tra sfoggio di muscoli e incontri, continua il negoziato sui dazi tra Stati Uniti e Cina. Ottobre però è stato il mese in cui i balzelli commerciali di Washington sono stati rivolti verso l'Unione europea. I dazi sono scattati il 18 ottobre su prodotti (alcuni dei quali colpiscono produzioni italiane) per 7,5 miliardi di dollari. È stata, ha spiegato la Casa Bianca ottenendo il via libera dalla Wto, una conseguenza del supporto europeo ad Airbus, configurabile agli occhi di Washington (e dell'Organizzazione mondiale del commercio) come aiuto di Stato.
Il World economic outlook del Fondo Monetario Internazionale ha ritratto un'economia mondiale che decelera. La frenata contemporanea (anche se con differenti intensità) di aree diverse sancisce una previsione di crescita globale del 3% nel 2019 e del 3,4% nel 2020. Nel primo caso, si tratta del progresso più limitato negli ultimi dieci anni. Nel secondo di una correzione al ribasso della stima di aprile, che aveva indicato una crescita del 3,6%.
Il nuovo governo targato Pd-M5S sta lavorando alla manovra, secondo il perimetro già indicato nella Nota di aggiornamento al Def. Il punto cardine è la neutralizzazione delle clausole di salvaguardia che avrebbero fatto scattare l'aumento dell'Iva. Standars and Poor's ha confermato il rating dell'Italia a BBB con outlook negativo, anche perché ritiene “credibili” gli obiettivi della prossima legge di Bilancio. Lo scenario però resta debole: secondo le stime dell'agenzia, l'economia italiana dovrebbe crescere dello 0,1% nel 2019 (la terza più bassa tra le maggiori economie dopo Turchia e Argentina) e dello 0,4% nel 2020. Il tasso di disoccupazione è atteso al 10,6%.
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