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Il 31 ottobre 2019 è finita l'era Draghi. Dopo otto anni, la Banca centrale europea ha un nuovo presidente, Christine Lagarde. Otto anni in cui Mario Draghi ha rivoluzionato la BCE e il suo ruolo, battezzando nuovi strumenti di intervento e affrontando sfide quali la crisi economica e la tenuta dell'euro.
Le azioni di Draghi hanno diviso. Lodato (nelle ultime settimane di mandato anche da Donald Trump) e criticato (soprattutto da Germania e Bundesbank), l'ex presidente della BCE è però riconosciuto da tutti come un innovatore del proprio ruolo. È andato ben oltre il tradizionale ritocco dei tassi di riferimento, avviando una gamma di strumenti, dai prestiti agevolati alle banche (per mettere in circolo liquidità) ai tassi negativi. Ma il suo nome è legato soprattutto al Quantitative Easing, cioè l'acquisto di titoli di stato.
Per i sostenitori di Draghi, interventi massicci come questi hanno avuto il merito di ridurre lo spread, alleggerendo così la pressione sui titoli di Stato periferici e consentendo così ai governi di avere maggiori margini di manovra. Secondo il Financial Times, mettere in circolo liquidità e sostenere i titoli di Stato ha avuto ripercussioni positive anche sulla disoccupazione europea, che durante il mandato Draghi è scesa ben al di sotto dei livelli pre-crisi.
Gli sforzi di Draghi sono stati indirizzati alla tenuta della moneta unica. Non solo attraverso una politica che ne ha contenuto la valutazione, ma soprattutto attraverso azioni e dichiarazioni mirate a sottolineare l'irreversibilità dell'euro. In questa chiave, il discorso più celebre è quello del luglio 2012, passato alla storia come quello del “Whatever it takes”. Il presidente della BCE disse che avrebbe fatto “tutto il necessario” per salvare l'euro. Un messaggio finanziario ma anche politico.
I critici sottolineano che, introducendo strumenti mai usati in precedenza dalla BCE, Draghi sia andato oltre le prerogative che un presidente della BCE avrebbe. E a tal proposito citano il caso dell'inflazione. Il mandato ha infatti un solo obiettivo esplicito: non alleggerire la pressione sugli Stati né assicurare la tenuta dell'euro, ma controllare i prezzi e mantenere un livello dell'inflazione vicino ma non oltre il 2%. Un traguardo che Draghi non è riuscito a raggiungere, visto che si è mantenuto su livelli inferiori. Per i detrattori è la conferma di un fallimento, perché non è stato centrato il punto per il quale un presidente della BCE viene designato. I dati sono incontrovertibili, ma per i sostenitori la bassa inflazione smentisce parte dei timori sull'interventismo di Draghi (secondo i quali la liquidità avrebbe infiammato i prezzi). Al di là dei singoli punti, però, c'è una questione di fondo: il banchiere italiano è andato oltre il perimetro tradizionale. Se con successo o meno, è ancora da accertare.
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