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Economia e finanza

Come cambia lo scenario con la fine del QE

Ottobre 2018

Senza gli aiuti della BCE la fiducia degli investitori nel nostro Paese è ancora più importante anche se le politiche di supporto non saranno tagliate del tutto.

Sono 2.500 i miliardi di euro stanziati dalla BCE per il Quantitative Easing a partire dal marzo 2015. Sono passati più di tre anni e mezzo e oggi la fine del programma di acquisto dei titoli di Stato da parte di Francoforte è già programmata: questo mese gli acquisti del QE sono stati dimezzati a 15 miliardi mensili e a fine anno si fermeranno del tutto.

Il programma del QE non è più necessario

Secondo il Presidente della BCE Mario Draghi, le stime appena diffuse confermano quanto già l’istituto aveva previsto: l’economia dell’Eurozona è forte e in continua espansione e l’inflazione è in graduale rialzo. Il programma di QE può quindi essere chiuso senza rischi, soprattutto perché il ritiro degli investimenti della Banca sarà graduale. A partire dal 2019, quindi, tutti i Paesi europei dovranno negoziare i propri titoli di Stato nelle aste con gli investitori internazionali, senza più l’aiuto della BCE.

L'attenzione per i Paesi più precari

Il piano di QE si ferma, ma il supporto della BCE rimane a disposizione degli Stati con un’economia meno solida. Il Consiglio direttivo della BCE sarà infatti pronto a intervenire per evitare che l’inflazione devii dal target previsto e, finché sarà necessario per mantenere buone condizioni di liquidità, i titoli pubblici già acquistati che andranno in scadenza potranno essere sostituiti con altre obbligazioni di pari importo.

L'economia italiana a un bivio

In Italia la fine degli aiuti della BCE arriva in un periodo in cui la tensione sul debito pubblico è tornata a livelli di attenzione. The European House – Ambrosetti ha valutato nove possibili scenari, dal più ottimista al più tragico, tutti fondati su un elemento comune: il maggior costo del debito determinato, a partire da aprile, con l’aumento dei tassi e l’abbassamento delle stime di crescita 2018 rispetto a quelle indicate nel Def.

Secondo lo studio, nel migliore dei casi la recessione potrebbe avvenire solo nel 2021 e sarebbe neutralizzata dalla realizzazione di un avanzo primario del 4%. Nella prospettiva peggiore, la crisi ci investirà nel 2020 e porterà il PIL al -5% e il rapporto tra debito pubblico e PIL non lontano dal 150%. L’Italia potrebbe arrivare a perdere fino a 22 miliardi di euro.